Abbiamo parlato qualche giorno fa del progetto SYMMES, il film ideato da Sebastiano B. Brocchi, dal quale ci aspettiamo grandi sorprese. E proprio per poter entrare dietro le quinte du questo progetto abbiamo invitato sul nostro portale la mente dietro il progetto, Sebastiano appunto.

Intanto ti diamo il benvenuto sul nostro portale e ti auguriamo una piacevole presenza. Cominciamo dal principio. Per chi non ti conoscesse, vuoi dirci qualcosa di te?

Grazie a voi dello spazio che avete scelto di dedicare a me e al mio progetto. Mi considero una persona creativa e piuttosto eclettica, il che mi ha spinto e mi spinge tuttora a sperimentare in diversi campi, attraverso vari media e canali espressivi. Sono uno scrittore, autore di dodici libri e numerosi articoli su riviste e siti web (in questo ambito ho avuto anche il piacere e l’onore di intervistare varie importanti personalità internazionali nei più diversi settori di cultura e spettacoli), un artista, ma amo anche definirmi un filosofo nel senso più umile e genuino del termine: un amante della sapienza, il che mi ha portato ad approfondire molti argomenti legati alla spiritualità, la simbologia, il sacro.

Puoi raccontarci la tua passione per il fantasy e per la fantascienza?

In primo luogo si tratta dei generi più vicini all’immaginazione “pura”, quelli in cui l’ispirazione artistica può fluire più liberamente ed esprimersi in modo più visionario. Inoltre sono mondi che flirtano costantemente con l’archetipo, il simbolo, l’allegoria, in cui cioè eventi, luoghi e personaggi sono spesso la rappresentazione di sentimenti, emozioni profonde, stati dell’animo. Sono storie “eterne”, che possono parlare al cuore degli uomini di ogni tempo e luogo proprio perché non si identificano con una specifica realtà concreta e storica. In questo sta la loro vera magia.

Parlaci un po’ di SYMMES. Come è nato questo progetto? Soprattutto quale è stata la molla che ti ha fatto pensare “è questo che voglio fare”?

In un certo senso quello di realizzare un film di fantascienza credo fosse un sogno nel cassetto fin da quando, da bambino, mi regalarono il bellissimo cofanetto dorato della trilogia di “Star Wars” in VHS.

Ma parlando di eventi più recenti, credo che l’idea specifica mi sia venuta osservando il paesaggio dal finestrino durante una trasferta in auto: guardavo delle grandi cave di granito sul fianco delle montagne e in quegli scavi mi sembrava di riconoscere un’eloquente metafora. Mi sono chiesto: e se scavassimo fino al centro della terra per poi accorgerci che non resta più nulla da estrarre? Cosa faremmo allora? E se ci fossimo dimenticati di “scavare” anche in un’altra direzione, ovvero nei nostri cuori, per ritrovare certi sentimenti e valori che forse sono stati un po’ troppo assorbiti e “sciolti” dal flusso inarrestabile della produzione e della modernità? Così ho pensato di riproporre queste domande in un’ambientazione distopica, un pianeta fittizio in cui tali scenari fossero ormai divenuti tangibili insieme alle loro estreme, drammatiche conseguenze.

La tua carriera nasce però e si sviluppa come scrittore. Il cinema e la scrittura sono due ambienti molto diversi fra loro, seppure molto simili. Entrambi donano un certo tipo di emozioni anche se con tecniche differenti. Come è fare un film rispetto allo scrivere un libro?

In realtà ho sempre avuto un approccio molto “fluido” alla creatività. L’importante per me è la visione, il messaggio da trasmettere: il mezzo espressivo, gli strumenti, diventano un aspetto secondario. Il mio spirito profondamente indipendente e “autodidatta” mi porta a sperimentare molto e cercare di trarre il meglio dai diversi canali o media che utilizzo di volta in volta per raccontare una storia.

È vero che “nasco” come scrittore ma sono anche stato co-realizzatore di un videogioco (“Eselmir e i cinque doni magici”, Stelex Software), ho in cantiere un fumetto, mi sono cimentato spesso con il design e la grafica digitale, e più recentemente ho deciso di lanciarmi anche nell’avventura della regia. Sperimentare mi permette di avvicinare nuove tecniche e capire il loro linguaggio: all’inizio ognuna di esse può sembrare un mondo a parte, una “lingua straniera”, ma man mano che le si dedica il proprio tempo e il proprio entusiasmo esse iniziano a dischiudere i loro segreti e i loro “incantesimi”.

In realtà ogni volta che scrivo un libro io cerco di “visualizzare” quella storia proprio come se stessi girando un film mentalmente, e potrei dire in un certo senso che anche girare un film sia un po’ come tentare di scrivere un romanzo raccontandolo con immagini e suoni oltre che con le sole parole. Nella mia mente una tecnica non è che il prolungamento e lo “specchio” dell’altra. Certamente scrivere un libro ti mette tra le mani un potere immaginifico pressoché illimitato: la storia può spingersi là dove riesce a spingersi la tua immaginazione, proprio come quando disegni. In un film le cose sono un po’ diverse nel senso che compaiono molti più limiti realizzativi: non basta immaginarlo per vederlo comparire, anzi, bisogna armarsi di molta pazienza e dare fondo alla propria inventiva per aggirare gli oggettivi limiti di budget o di tecnologie a disposizione (ad esempio).

Autore

  • KeiLeela

    Classe '90. Nella vita mi occupo di codice e grafica, nel tempo libero navigo verso mondi fantastici. Fondatrice del portale Vampire's Tears, tratto di argomenti legati all'horror e al fantastico. Indago su miti e leggende e misteri esoterici.