Un nuovo racconto, Onirico Labirinto, si unisce alla nostra raccolta Favole da Compagnia. A inviarcelo è stata Reine de Fleur che ci ha inviato un racconto horror/onirico ricco di suspence.

 

Onirico Labirinto

Difficilmente corro così veloce mettendo sotto estremo sforzo ogni singolo muscolo, ma il senso di terrore che mi attanaglia e mi segue è talmente intenso e presente che non posso fare altro. Non so che posto sia questo né come ci sono arrivato, l’unica cosa certa che so è che devo scappare, correre a gambe levate, o sento potrei anche morire. E no! Non voglio morire! O almeno non come pasto di chissà quale creatura viscida quale è quella che mi sta seguendo, e di cui nemmeno riesco a vederne le fattezze tanto è buio e tanto è intensa questa dannata pioggia! Ho fatto un patto con il Diavolo per restare giovane a lungo e invecchiare lentamente, posso morire per un motivo così cretino?

E allora sfido la fatica, sfido il bruciore che ho ai muscoli delle cosce e dei polpacci, sfido il battito del cuore talmente martellante nel petto da bruciarmi solo perché devo e voglio preservare il mio sacrificio e la mia pellaccia (e pelliccia!). A volte scivolo sulla strada di pietra e bagnata dal temporale, tentenno e inciampo, ma se avessi meno equilibrio di quanto ne ho adesso sarei già morto, stecchito, digerito. A volte mi giro per vedere se la Creatura mi si avvicina e per fortuna riesco a mantenere bene o male la stessa distanza sebbene in alcuni momenti Lei pare affrettare la corsa, una corsa strana, simile a uno zoppo che paradossalmente riesce a correre spinto da chissà quale forza oscura.

Forse solo la fame, non voglio saperlo, preferisco proseguire la mia corsa per… Dov’è che devo andare? Non conosco il posto, è notte, non ci sono luci e le case una attaccata all’altra sembrano essere tutte disabitate, anche se da qualcuna di queste pare sentirsi qualche alito di vita che si avvicina alle finestre buie e polverose come fosse stata avvisata del mio passaggio. La stessa presenza che ho l’impressione si unisce alla

Creatura che mi sta seguendo da minuti interminabili.

Ho paura. Ecco, è esattamente questo il sentimento che mi spinge a cercare un riparo dove nascondermi sperando di non essere trovato, la Paura. Il terrore di non riuscire a sopravvivere e di finire a morire soffrendo e spappolato da denti aguzzi che vedo spuntare sul viso pallido della Creatura che mi segue senza affaticarsi mai. Ma dove diavolo trova tutte queste forze e queste energie? Se è fame… Perché non è debole e non cede?

Vorrei spogliarmi e togliermi gli abiti zuppi di pioggia gelida, questa roba mi appesantisce e affatica la mia corsa, la gola punge, i polmoni ardono, il cuore è oramai in preda a spasmi e battiti simili a una raffica di proiettili. Eppure corro, corro alla cieca e forse anche in tondo per la sopravvivenza. E poi quei grugniti, quei versi da cavernicolo che seppur lontani sembrano perforarmi i timpani ed entrarmi nel cervello con il solo e unico intento di farmi impazzire, nel vero senso della parola. E forse ci stanno riuscendo perché improvvisamente mi ritrovo a gridare frasi insensate, parole a caso, aiuto. Aiuto…

AIUTOOOOO!!!!

La mia voce sembra spezzare la cappa di pioggia che mi picchia e mi tormenta assieme alla Creatura che non vuole sentire di mollarmi e andare a cercare un’altra preda. La legge della Natura, legge che per quanto mi riguarda è valida solo per me, ovvio, per questo sto correndo in cerca di un riparo. Riparo che trovo in una buca ai piedi di un rigonfiamento del terreno accanto a una stalla, vuota e buia anch’essa. Senza esitare mi ci fiondo e non bado al pungente odore di urina, ci entro e basta, cerco a fiuto il punto pulito o meno male odorante e mi ci sdraio accovacciato, stremato, e speranzoso di non essere trovato.

E se prima i miei occhi bruciavano dalla troppa aria fredda che li aveva colpiti, ora bruciano e basta, ma nonostante ciò si guardano attorno tagliando le tenebre in cerca di una figura che in tutta onestà mi aspetto di vedere arrivare nel giro di pochi attimi. E difatti arriva, eccola, nei suoi panni lerci da pezzente, orrenda, di un terrificante che davvero non riesco a descrivere razionalmente, ma solo se dessi sfogo alla pazzia che mi sta attanagliando il cervello.

Resto immobile, trattengo il respiro sfidando il lacerante bruciore al petto e il cuore che in esso vi martella senza trovare pace né conforto. Sono solo, solo davanti a un pericolo sconosciuto e arcano. Solo davanti ad una possibile morte che proprio non vorrei. Accovacciato in fondo a questa sorta di tana buia, resto in attesa della mia fine fissando la fossa attraverso cui sono passato proprio come una piccola volpe che si intrufola nella tana del coniglio, ma questa volta il coniglio sono io e questo mi fa bruciare dalla rabbia e dallo sconforto.

Eppure non reagisco perché sento i passi goffi e impacciati di quella Creatura passare davanti il mio nascondiglio, mi irrigidisco, trattengo il fiato, fisso il buco preparando i muscoli a scattare per fare qualsiasi cosa il momento e il pericolo chiederanno di fare. Ma forse la Creatura ha un punto a suo svantaggio rispetto a me: il fiuto. Non è dotata di quel fiuto in grado di scovare le prede quando queste si nascondono, ponendo tra loro un muro invisibile che ne vieta la percezione di odori di carne viva. Perché alla fine credo e temo sia questa la sua mira: la mia carne come cibo. Oppure per chissà quale sacrificio umano a chissà quale divinità oscura e affamata di umani.

Smetto di vaneggiare, o forse è solo la stanchezza a farmi credere questa cosa, perché gli occhi oramai stanchi anche di fissare il nero più nero cominciano a vedere tutto appannato, offuscato, velato da qualcosa che so bene cosa è. Il sonno, quel sonno ristoratore al quale non avrei mai dovuto cedere. O forse sì? La stanchezza ha vinto, mi lascio andare a uno stato che nemmeno posso definire sonno, è qualcosa che mi avvolge col suo gelido sudario umido, mi copre e mi avvolge instillando nel mio animo una sensazione che non ho mai provato prima, un gelo che non è dovuto a qualcosa di esterno, ma…

Dormo, ora dormo un sonno senza sogni, niente suoni né percezioni. Sono finito in chissà quale dimensione dove tutto è nero, silenzioso e calmo. Sono morto? La Creatura alla fine mi ha preso e ha restituito la mia anima già dannata a un Dio che la merita? Oppure…

MERDA! Era un sogno!

Riconosco la mia stanza, il mio letto, l’odore della mia casa e anche del mio gatto che in quel momento non sta lì, ma lo sento appena fuori dalla porta soffiare come un forsennato. Resto nel letto paralizzato perché so che se lui soffia c’è un motivo o un pericolo serio in quanto lui è solito ignorare tutto e tutti. Qualcosa mette in allarme anche il mio sesto senso, una paura che riconosco solo dopo averci pensato su qualche secondo. Mi ritrovo madido di sudore, affannato, stanco e con la gola, il petto, i muscoli e i nervi che bruciano come se… Come se avessi corso. Ma no, era un sogno, quello dove ho corso come un disperato.

Il gatto soffia più forte, miagola arrogante e intensamente, ne vedo l’ombra ingobbita sulla parete del corridoio, quella che sta di rimpetto alla porta semi aperta della mia camera. E vedo anche un’ombra dalla forma poco chiara camminare, ma che dico camminare, zoppicare e ciondolare. Grugniti e suoni cavernicoli sembrano provenire da quella stessa presenza che a breve si ritrova nella mia camera.

PLIN PLIN PLIN… PLIN

E il mio gatto dove sta? Che fine ha fatto?

Gocce che ritmicamente cadono dagli stracci zuppi della Creatura sulla quale riconosco solo i bianchi denti aguzzi e il pallore della carnagione su una pelle simile a quella di un mollusco, un calamaro, un polpo… Sembra un uomo pesce, un uomo nato dall’accoppiamento di un uomo e un mollusco, ed ecco che di nuovo la mia mente si paralizza davanti a qualsiasi reazione, la razionalità smette di collaborare e di nuovo scende il freddo che avevo avvertito in quell’incubo, quando avevo trovato quella tana per sfuggire al pericolo.

Ma non alla Paura.

Avevo Paura. Di nuovo.

La Creatura lo aveva capito, fiutato, grugniva e parlava una lingua tanto sconosciuta quanto spaventosa e incomprensibile, non riuscivo a capire nemmeno una parola tanto era bloccato sul mio letto dal terrore, quello puro e senza fronzoli. Un Terrore che non riuscivo a prendere in mano e a dirigere verso una qualche direzione per poter reagire, foss’anche solo scappare. Proprio come nell’Incubo da cui credevo di essere uscito.

Lo scatto è improvviso, stranamente veloce, tanto veloce da non darmi modo di capire cosa stava per succedere, uno scatto così repentino da bloccarmi nel letto permettendomi di vedere solo una cosa. Una bocca bluastra e umida, bavosa, piena di denti aguzzi, non due arcate, ma… Quattro? Mi era venuto in mente uno squalo malvagio partorito da chissà quale dimensione oscura. Uno squalo dalle sembianze simili a un enorme polpo, un uomo pesce/polpo che si era avventato su di me e…

Mi sveglio di soprassalto urlando con tutto il fiato che avevo in petto, ma non ho avuto nemmeno il tempo di sollevare la schiena dal terreno umido e maleodorante e mi ritrovo quello stesso volto orrendo di quella Creatura mezzo uomo e mezzo polpo, pesce o quel che è avventarsi su di me.

E da lì, da quel momento in poi tutto si spegne.

E poi mi ritrovo di nuovo in camera nel letto a gridare, sudato e terrorizzato, con dolori al petto e le orecchie tese verso un suono affatto nuovo.

CIAF CIAF CIAF CIAF

Grugniti, il gatto che soffia e poi non si sente più.

Apro la finestra per salire sul davanzale, ma davanti non trovo Noivieille, ma un paese sconosciuto, avvolto dal buio e da una pioggia gelida e fitta tanto da non farmi vedere a pochi metri lontano da me. E la Creatura si avvicina. E ricomincia la corsa, questa volta con addosso solo l’intimo che si bagna subito, anzi che dico, lo è già. Una corsa folle, dissennata, carica di grida e urla insensate perché deve sfogare la frustrazione di quell’inseguimento che è come un ciclo infinito di Incubi tutti uguali tra loro eppure sempre diversi in qualcosa.

Dov’è il confine tra Incubo e Realtà? Non lo capisco più, non so più nulla, so solo che devo fuggire al buio.

 

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