Moria è un poemetto a carattere epico di Fabrizio Corselli.

Se il nome vi risulta familiare è perché, certamente, lo avete già sentito. Moria sono infatti le famose miniere che i membri della Compagnia si trovano ad attraversare nel celebre romanzo di Tolkien, Il Signore degli Anelli. Dando per scontato che, nel caso in cui non abbiate letto il libro, avrete certamente visto il film conoscerete tutti il punto da quando pronunciata la parola Mellon i protagonisti si fanno strada nelle miniere a quando il Balrog trascina Gandalf con se nella caduta dal Ponte di Khazad-dûm, poco resta da dire sui fatti che si svolgono all’interno di questo libello.

Quello che ci preme invece raccontare è di tutt’altro carattere. Il poemetto, molto breve, è un omaggio al grande autore e racconta gli eventi dal punto di vista di Gimli, il nano della Compagnia. Con il suo magistrale uso dell’epos Corselli rivive la storia di quelle mura di pietra dagli albori della loro fondazione. La storia degli abitanti di Nanosterro, della loro gloria e del loro impeto quando si gettano nella battaglia pure che sia quella finale che ha trasformato quella florida città in un cimitero.

Ma procediamo con ordine.

Gimli e le Miniere di Moria

Gimli come abbiamo detto è il nano della Compagnia. Rappresenta appieno i canoni della sua razza con la sua lunga barba, l’ascia stretta fra le mani, lo sguardo fiero. Nonostante non sembri darlo a vedere Gimli è di nobili origini e d’altro canto l’uso del patronimico dovrebbe lasciarlo intendere: Gimli figlio di Gloin della stirpe di Durin. E sì, per chi se lo stesso chiedendo, stiamo parlando dello stesso Gloin presente ne Lo Hobbit.

Ed ora si trova lì, fra la grande imponenza del passato e un futuro ancora incerto carico delle battaglie e delle sfide che dovrà ancora affrontare la Compagnia. Pericoli e vicende che ancora devono compiersi, ma che già fanno avvertire il loro peso sulle spalle naniche proprio in quel luogo che una volta avrebbe potuto chiamare casa. Lo sguardo del nano si sofferma sulle parete, sulle imponenti statue, sui volti di quelli che sono stati i suoi antenati, scavati di rughe, solchi profondi nella pietra. Volti modellati dal tempo e dalle battaglie che raccontano storie e leggende.

Tutto questo sfreccia nella mente del personaggio come un canto, antico che ha il sapore della poesia dei Naugrim, così come li chiamano gli elfi. Una poesia che batte sulla pelle di tamburi, una poesia dei Nani sulla quale torneremo parlando di un’altra opera di Corselli, Cantarune. Ci torneremo.

Anatomia di un eroe e il ruolo del pathos

Moria interiorizza e fa esplodere il personaggio di Gimli portando a galla tutte le sue emozioni in un crescendo di sensazioni che vedono il suo animo inorgoglirsi e poi farsi fiamma portando quel fuoco nel suo sguardo.

Corselli è un maestro in questo. L’epica del resto, come stile, se pure da alcuni può non essere apprezzata, fa proprio questo. Rende grande l’animo, fa dei sentimenti poesia e li mette in musica. D’altra parte, non è la prima volta che utilizziamo termini del capo musicale con le opere di Fabrizio. Lo abbiamo già fatto per quanto riguarda Bjorn, e siamo certi che questo si possa applicare a numerose delle sue opere. Del resto l’epica è musica. Molti degli scritti epici furono cantati dapprima in forma orale ed erano quasi tutti musicati. Gli aedi, i bardi dell’antica Grecia, cantavano le loro opere. Questo favoriva la memoria dando un ritmo alla narrazione e allo stesso tempo la rendeva più solenne.

L’elemento del pathos, così come lo intendevano i Greci, come soffrire e sentire profondamente è fortemente presente nell’opera, seppur breve. Sentiamo il forte orgoglio di Gimli per l’appartenenza a una così grande stirpe e allo stesso tempo ne sentiamo l’inquietudine del confronto. Come si potrebbe essere al pari di così grandi figure?  Dall’altro vediamo il suo dolore, la sua forte sofferenza sulla tomba di Balin.

Così di rado piangono i nani, eppure Gimli sparge copiose lacrime che non lo rendono certo meno virile o più debole. Il dolore profondo è nobiltà che scivola sulla fredda pietra del Signore di Moria. E si trasforma in ferocia ardente nel petto, nelle membra e nello sguardo del Nano quando i nemici tornano all’attacco. Gimli figlio di Gloin combatte con la foga di cento, mille e ancora più di coloro che hanno abitato nelle miniere. I loro spiriti sono con lui nelle linee e nelle rune della sua ascia, nella sua danza di guerra, nelle mani, nella barba, negli anelli che la decorano, nelle pareti, risuonano tutt’intorno come un eco di tamburi.

Degno erede della sua stirpe, amico fedele dei suoi nuovi compagni, che segue, difende, e piange (come negli ultimi versi dedicati al grigio pellegrino), ci dona così grazie ai versi di Corselli il suo canto Gimli, figlio di Gloin, erede di Durin, Signore dei Nani.

Autore

  • KeiLeela

    Classe '90. Nella vita mi occupo di codice e grafica, nel tempo libero navigo verso mondi fantastici. Fondatrice del portale Vampire's Tears, tratto di argomenti legati all'horror e al fantastico. Indago su miti e leggende e misteri esoterici.