The Haunting of Bly Manor è la seconda delle storie dell’antologia horror targata Netflix che include Hill House e viene raccolta sotto il titolo The Haunting nella sua interezza.

Trama

Dopo la morte tragica della precedente ragazza alla pari, Henry Wingrave assume una giovane americana per badare ai suoi nipoti orfani che risiedono presso il Bly Manor insieme allo chef Owen, la giardiniera Jamie e la governante Mrs. Grose. Ma non tutto è come appare al manor e secoli di oscuri segreti di amori e perdita aspettano di essere disseppelliti in questa terrificante storia gotico-romantica. Al Bly Manor, morto non significa scomparso.

Recensione

L’eredità di Hill House

Acclamato da critica e pubblico, la prima stagione del filone, The Haunting of Hill House, è stato un successo immediato. Dopo una serie di tentativi più o meno riusciti con il genere horror, Hill House ha finalmente ripagato Netflix di tutti i suoi sforzi, e per buona ragione.

In un clima di rinascita del genere horror in cui è molto facile trovare contenuti mediocri, riuscire a superare le aspettative e a spaventare il pubblico sembra quasi impossibile per le nuove uscite, ma Hill House aveva sorpreso tutti con le sue atmosfere inquietanti e il suo dramma familiare come base di una storia che ha decisamente lasciato il segno.

Non è una sorpresa, quindi, che Netflix abbia deciso di ritentare la fortuna appoggiandosi a questa formula testata e vincente e abbia fatto spazio nel suo arsenale per un altro capitolo dell’antologia nella forma del recentissimo The Haunting of Bly Manor.

Una nuova ambientazione

Con The Haunting of Bly Manor, la narrazione ci precipita in una nuova e inaspettata ambientazione. Lontani sono i giorni dell’americana Hill House, la cui storia era in parte contemporanea a quella dello spettatore, e ci capitoliamo invece nell’Inghilterra degli anni ‘80.

Il nuovo setting dà sicuramente occasione alla storia di divergere e tentare di distaccarsi dalle aspettative di Hill House, e allo stesso tempo di aggiungere al proprio cast una serie di nuovi attori dai ruoli diversi – ma non così tanto – dalla dinamica famigliare dei Crain.

Facce familiari e nuovi arrivi

A contribuire al successo della prima stagione di The Haunting sono stati gli elementi più sorprendenti e d’impatto del cast. Tra i personaggi più amati dal pubblico della prima serie, spiccano Victoria Pedretti e Oliver Jackson-Cohen che ricorderete sicuramente per le loro interpretazioni dei gemelli Nell e Luke Crain. Nella nuova stagione, i due non sono più fratello e sorella ma la badante americana Dani e il misterioso e scozzese Peter.

Per chi sperava in un ritorno del cast della prima stagione, sarà un po’ deludente sapere che i due sono quasi tutto ciò che rimane di Hill House (a parte qualche apparizione più o meno importante di altri interpreti dei Crain che non menzioniamo per evitare spoiler), ma Bly Manor fa decisamente delle aggiunte interessanti.

Tra i nuovi personaggi troviamo un’affascinante e misteriosa T’Nia Miller nel ruolo della governante Mrs. Grose, Amelia Eve con la sua tostissima Jamie, lo snob Henry Wingrave interpretato dallo stesso attore del giovane Hugh Crain, Henry Thomas, la tragica Rebecca a cui presta il volto l’attrice Tahirah Sharif e infine il cuoco Owen interpretato da Rahul Kohli che, se amate le storie di zombie, potreste riconoscere dal ruolo di Ravi Chakrabarti in IZombie.

Meritano poi una menzione speciale due elementi giovanissimi del cast, la piccola Amelie Bea Smith nel ruolo di Flora e suo fratello Miles, interpretato da Benjamin Evan Ainsworth.

La recitazione

I primi di cui vorrei parlare sono decisamente i due elementi più giovani del cast. Amelie Bea Smith e Benjamin Evan Ainsworth si ritrovano nel classico ruolo horror dei bambini inquietanti e fanno un lavoro abbastanza robusto vista la loro età. La piccola Flora viene immediatamente inquadrata come una bambina pimpante, ma la sua gioia infantile si trasforma molto presto in una facciata sinistra di cui lo spettatore non riesce a fidarsi. Lo stesso vale anche per Miles che sembra inizialmente fare da contrappeso a Flora, ma diventa poi un’altra figura da tenere sott’occhio.

Per quanto riguarda gli attori che già conoscevamo, devo dire che personalmente sono rimasta abbastanza sorpresa. Come per molti altri, Luke e Nell erano stati anche per me una delle parti migliori della prima stagione e sapere che Victoria Pedretti ed Oliver Jackson-Cohen – insiema a Henry Thomas – sarebbero tornati a far parte del cast sembrava una promessa concreta di un’altra interpretazione sicuramente eccezionale.

Beh, non è stato proprio così.

Sarà la sceneggiatura, sarà il ruolo che gli è stato affidato, ma purtroppo i tre cadono dalla loro posizione di favoriti della prima stagione e diventano uno degli elementi più deboli della seconda. Le loro interpretazioni sono esagerate, sopra le righe e addirittura caricaturali. In particolare, scoprire che Oliver Jackson-Cohen è inglese è stato scioccante se consideriamo che il suo accento scozzese è forse il peggiore dell’intera serie.

È un vero peccato perchè Jackson-Cohen riesce poi ad attuare perfettamente il cambio di personalità che il suo nuovo ruolo richiede. L’attore ci fa scordare la vulnerabilità e la determinazione di Luke Crain con la sua caratterizzazione del viscido Peter, ma la credibilità dell’interpretazione soffre ogni volta che apre bocca.

Di contrasto, il resto del cast, e in particolare Rahul Kohli e T’Nia Miller, è una boccata di aria fresca.

L’atmosfera e gli spaventi

Se la recitazione non riesce a competere con quella della prima serie, Bly Manor si presta invece perfettamente alle ambientazioni inquietanti e oscure a cui Hill House ci aveva abituati.

I dettagli sono meticolosi, gli ampi angoli della casa e delle stanze ti fanno cercare le figure spettrali che si nascondo sullo sfondo e alcuni dei design dei nuovi “mostri” hanno un impatto immediato e impressionante.

Allo stesso tempo, però, tutte queste caratteristiche sembrano andare un po’ sprecate. Nonostante alcuni brevissimi momenti di terrore di alto livello, nella sua interezza Bly Manor è meno incalzante e meno spaventoso di Hill House.

Entrambi hanno un inizio lento che si concentra sul farci conoscere i personaggi che muovono la storia, ma siccome molti degli elementi paurosi di Bly Manor derivano dall’ambientazione stessa piuttosto che dalla relazione dei personaggi con il loro ambiente, la storia non raggiunge mai un vero e proprio climax soddisfacente.

Bly Manor è meno spaventoso anche nei suoi momenti più tesi e Hill House riusciva ad eseguire i fattori del genere horror in una maniera più sottile ed insidiosa che sembra essere soltanto superficiale in Bly Manor. Inoltre quest’ultimo si affida un po’ troppo all’escamotage della figura semi-nascosta sullo sfondo senza mai realizzarne il potenziale.

Considerazioni finali

Complessivamente, The Haunting of Bly Manor fornisce allo spettatore quasi dieci ore di solido intrattenimento. Per chi si affaccia al genere horror senza troppe aspettative, Bly Manor fa un lavoro accettabile e anche a tratti superiore alla media. Ma gli amanti più appassionati del genere e quelli che come me hanno difficoltà a trovare qualcosa che davvero li spaventi ed erano felici di sapere che ci sarebbe stata una nuova stagione dopo che Hill House ci era riuscito, rimarranno decisamente delusi o perlomeno affamati nel loro desiderio di terrore.

Il cast tenta sicuramente di fare il suo meglio per aspirare a delle interpretazioni sincere, ma non è facile quando la maggior parte dei personaggi sembra più un manichino di simboli o una bambolina fine alla storia senza mai farne parte in maniera consistente piuttosto che una costruzione organica di umanità e desideri.

Il difetto più grande di The Haunting of Bly Manor, infine, è espresso benissimo da uno dei suoi personaggi. Flora dice, parlando con un altro dei personaggi: “Ha detto che era una storia di fantasmi, ma non lo è. È una storia d’amore.” Ed è proprio così. Bly Manor promette e aspira ad un terrore viscerale che possa essere accompagnato dalla spinta degli obiettivi e delle personalità da cui la storia viene portata avanti, ma nel suo tentativo di raccontare molte cose, molti sentimenti, molta umanità, finisce per dire ben poco.

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