Scritto e diretto da Alan Ball per Amazon Studios e con la sentita interpretazione di Paul Bettany al suo apice, Zio Frank racconta una storia di coming out che si allontana dall’ottimismo del progresso degli ultimi anni, ma ricorda le conseguenze di una sofferenza che molti ancora devono affrontare oggi.

Trama

Ambientato negli anni ‘70, Zio Frank segue il viaggio in macchina di un professore gay di letteratura che, accompagnato da sua nipote adolescente Beth, torna da New York alla casa di famiglia a Creekville, nel Carolina del Sud, per il funerale di suo padre. Il passato tragico di Frank e le aspettative ottimistiche di Beth obbligheranno entrambi a riconsiderare il loro posto nel mondo e nella famiglia.

Zio Frank – Recensione

Dopo un Dicembre pieno di nuove storie d’amore LGBTQ+ dagli accenti festivi e gioiosi come Non Ti Presento I Miei, Zio Frank porta sullo schermo una storia che sembra allontanarsi dal progresso narrativo delle storie queer contemporanee e che potrebbe far chiedere se sia necessario e utile rivangare sulle ferite del fare coming out.

La presentazione di Zio Frank che viene fatta nel trailer è di una storia vista dagli occhi della giovane Beth. Nonostante la vicenda centrale del film sia concentrata piuttosto sul personaggio titolare, Frank appunto, il punto di vista dell’ingenua Beth da uno spiraglio nella storia che non sarebbe stato raggiunto se fosse stata raccontata da Frank stesso.

I protagonisti

Sophia Lillis, interprete di Beth Bledsoe e che riconoscerete soprattutto grazie al suo ruolo di Beverly Marsh in IT (2017) e IT – Capitolo Due (2019), ci presenta una ragazzina degli Stati Uniti rurali cresciuta in un ambiente piccolo ma che ha grandi sogni. Il suo rapporto con suo zio Frank, in particolare, le permette di aprire una finestra su un futuro che va molto al di là delle aspettative di quella che in America chiamerebbero Apple Pie Life e che la vedrebbe sposata prima dei vent’anni e già con figli.

Frank (interpretato da Paul Bettany), dal canto suo, irrompe nella storia come la pecora nera della famiglia. Beth, la piccola della casa e presa poco sul serio dagli altri componenti, sembra affezionarvisi anche per questo motivo. Frank, nonostante il suo ruolo, è presentato come forse la persona più sensibile in quell’ambiente. Egli è il vero simbolo dello zio comprensivo su cui tutti i nipoti che ne avessero bisogno possono fare affidamento ed è esattamente così che si approccia a Beth. È lui a convincere la ragazzina a non vergognarsi di volere di più dalla sua vita ed è immediatamente ovvio che ci sia qualcosa di non detto dietro la sua gentilezza.

Il passato

L’intero film è pervaso da un senso di segretezza che si dirama nella storia attraverso dei flashback nel passato di Frank e che ci fa capire la sua riluttanza a fare coming out anche dopo che la persona che più gli ha causato sofferenza esattamente per quello, suo padre, è morta e non ha più l’occasione di riaprire e rimarcare quelle ferite che Frank si è lasciato alle spalle insieme alla sua cittadina di origine.

Ed è a questo passato che si ricollega il percorso di Frank nel riuscire finalmente a dichiarare senza vergogna la sua sessualità. Se, infatti, la storia di Zio Frank sembra una storia non più necessaria in un ambiente cinematografico ricco di progresso quando si parla di esperienze LGBTQ+, il trauma nascosto della storia e il modo in cui viene mostrata la violenza che le persone queer devono affrontare prima, durante e dopo il coming out sono un netto monito che ancora oggi queste esperienze sono tristemente comuni.

Il coming out

Zio Frank inquadra il coming out per quello che è e sempre sarà per tutte le persone queer che ancora non l’hanno fatto: una violazione.

È interessante che Zio Frank e NTPIM siano due film a tema LGBTQ+ rilasciati esattamente lo stesso giorno e con punti di vista così agli opposti sull’esperienza del coming out. Il discorso di John in NTPIM ci fornisce una descrizione succinta e accurata della vastità delle esperienze che vengono dopo il coming out. Esperienze infatti, che tendono a essere diverse per tutte le persone queer. C’è chi ha la fortuna di ricevere una reazione positiva, c’è chi si è visto portare via la famiglia, ci sono esperienze positive e negative su un campo ampio quanto l’equatore. Quello che Zio Frank ci ricorda, invece, è il momento che viene prima, quando il coming out è ancora un’incognita.

In quel momento, infatti, l’esperienza LGBTQ+ sembra essere identica per tutti. Prima di fare coming out, la paura della reazione è la stessa anche quando si è sicuri che le persone intorno a sé saranno più che comprensive. È esattamente quella paura il punto centrale di Zio Frank e sono le conseguenze di quella paura che il film vuole rappresentare.

Certo, Frank ha dei motivi più che validi per esitare, come ci mostrano i flashback del suo passato, ma le conseguenze della sua riluttanza sono universali al di là del profondo trauma da lui vissuto.

Ancora oggi il coming out

Con la sua storia che sembra ormai essere un ricordo del passato, Zio Frank ci permette di rivedere cosa significa non essere dichiaratamente LGBTQ+ non solo per la persona stessa, ma anche per quelle che ama.

Attorno a Frank troviamo da un lato la paura del rifiuto e dall’altro l’incoraggiamento non solo di Beth, che vede nel coraggio di Frank una riconferma delle possibilità della propria vita, ma anche del partner di Frank. Walid, “Wally”, (interpretato da Peter Macdissi) è un riflesso di quello che Frank cerca di essere per Beth. Comprensivo, amorevole, generoso, egli cerca di esserci quando sente che Frank ha bisogno di sapere che non è solo, quello che Frank cerca di trasmettere anche a Beth all’inizio del film.

Quando Frank, però, non riesce a trovare il coraggio di fare coming out, finisce per ferire entrambi. Wally perchè rifiuta la sua compassione pensando di non poterne essere all’altezza e Beth perché delude le stesse promesse che le aveva fatto riguardo al potenziale dei suoi desideri e della sua vita.

La famiglia

In Zio Frank, il ruolo familiare non è solo quello della famiglia di nascita e quindi di Beth e del padre di Frank, ma anche quello di Wally e degli amici che lui e Frank hanno nella città lontano da casa.

Il padre di Frank, in particolare, è fin dall’inizio del film la fonte più ovvia della sofferenza e del trauma che la storia esplora. La famiglia naturale prende il ruolo iniziale del rifiuto mentre quella scelta da Frank – in Wally in primo luogo e in Beth quando ella si trasferisce nella stessa città – è il simbolo più puro di accettazione.

Quando lascia la seconda per tornare obbligatoriamente dalla prima, Frank deve affrontare un trattamento disumano che va a intaccare l’unica persona che più ha sofferto del passato. Il film suscita un senso di disgusto, d’ingiustizia, di rabbia e non lo fa accidentalmente. La morale del film non è che la famiglia naturale merita di essere rispettata solo per il sangue che la lega, ma piuttosto che l’unico modo in cui il trauma di Frank possa mai essere superato è proprio con la morte della fonte di tutte le sofferenze nonostante il sangue che li lega, suo padre.

Ciò che vede Beth

Beth, in tutto questo, rimane un’ancora per la storia. Ella vede Frank e il coraggio che le aveva promesso sgretolarsi davanti al ricordo del suo trauma. Beth non potrà mai capire la sofferenza del passato di Frank, ma attraverso le sue aspettative verso le promesse che le aveva fatto può diventare uno scalino per aiutare Frank a rialzarsi. Allo stesso tempo, la storia di Frank è anche un’occasione per Beth di rendersi conto che sapere di poter fare affidamento su di lui è sicuramente un aiuto, ma alla fine lei può davvero contare solo sulle convinzioni della propria vita e può essere la prima svolta nella storia familiare di trauma che scopre attraverso Frank.

Beth e Frank sono il contrappeso alla violenza dei padri, sono il rifiuto di far propagare un modo di pensare arretrato e doloroso che non può che dare alla famiglia un’eredità di sofferenza.

In conclusione

Zio Frank ha un finale tanto lieto quanto ci si può aspettare da una storia del suo genere, un finale che è in piena linea con i temi che affronta e con il modo in cui li affronta. Alle volte, e soprattutto nell’ambiente cinematografico di oggi, non sarebbe abbastanza, ma in questo caso può esserlo.

Nel suo insieme, Zio Frank parla delle radici della paura di fare coming out. Lo fa con una narrazione talvolta violenta che è uno strumento per rappresentare contemporaneamente una realtà ancora presente e per simboleggiare un’eredità che la comunità LGBTQ+ deve purtroppo ancora portare in spalla.

Tuttavia, il film ci ricorda che la sofferenza spesso diventa, in chi la vive, la convinzione di non estenderla al prossimo, di fare di tutto pur di evitare che altri debbano sperimentarla sulla propria pelle. È per questo che ricordiamo ancora storie infelici di coming out, è per questo che ne creiamo di più gioiose per tentare di proiettarci verso il futuro.

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