Melmoth l’errante o Melmoth l’uomo errante (Melmoth the Wanderer) è un romanzo gotico di Charles Robert Maturin pubblicato per la prima volta – in quattro volumi – nel 1820.

Charles Robert Maturin (Dublino, 25 settembre 1782 – Dublino, 30 ottobre 1824) è stato uno scrittore e drammaturgo irlandese, autore di romanzi e opere teatrali di ispirazione gotica. Pastore protestante di origine irlandese dopo il successo ottenuto con Melmoth the Wanderer (1820), Maturin sposò Henrietta Kingsbury, diventando così pro-zio di Oscar Wilde.

Il protagonista, una sorta di ebreo errante, è lo studente John Melmoth, il cui antenato, “Melmoth l’errante”, ha venduto la sua anima al demonio in cambio di altri cento anni di vita; durante questi cento anni, Melmoth va alla ricerca di qualcuno che possa liberarlo dal vincolo con Satana accettando di prendere il suo posto.

Melmoth l’Errante – Trama

Melmoth l'errante 1820 di Charles Robert Maturin

Melmoth l’errante 1820 di Charles Robert Maturin
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Nell’autunno del 1816 il giovane John Melmoth lascia il Trinity College di Dublino per assolvere un compito ineludibile: assistere uno zio moribondo dal quale dipendono tutte le sue speranze d’indipendenza economica.

Nella decrepita casa in cui si reca, John viene accolto da un avvizzito vecchio in preda al delirio, che lo supplica di alleviare le sue pene portandogli del Madeira, conservato gelosamente in un ripostiglio chiuso a chiave in cui nessuno mette piede da oltre sessant’anni. Nello sgabuzzino dalle finestre murate, John scopre un dipinto datato 1646. L’opera cela qualcosa di oscuro e terribile, che traspare con evidenza dallo sguardo spaventevole dell’uomo ritratto.

Dalle labbra dello zio morente, John apprende che quel volto appartiene a un lontano parente, un uomo che avrebbe dovuto essere morto, essendo vissuto oltre centocinquanta anni prima, e invece vive ancora. Un antenato che ha venduto l’anima al diavolo in cambio dell’immortalità, e che da allora vaga per il mondo in cerca di qualcuno che accetti di prenderne il posto.

Melmoth l’Errante, un discendente dell’Ebreo Errante, il ciabattino che, secondo una leggenda, vedendo passare Cristo sulla via del Calvario, gli scagliò contro una ciabatta e venne condannato a vagare sulla terra fino alla fine dei tempi.

Recensione

“Il dolore ci rende pieni di presagi”.

La lettura si presenta, sin dalle prima pagine, ricca di vicende appassionanti e terrificanti al tempo stesso. La scrittura è complessa infatti leggere Melmoth significa intraprendere un viaggio nel tempo e nello spazio senza protezioni.

La curiosità spinge a divorare pagine e pagine nonostante le continue note a volte anche in greco antico o latino. Il dolore è il fulcro della storia, si parte dallo zio morente per approdare al racconto di un naufrago scampato alle grinfie della terribile Inquisizione spagnola per poi andare in posti esotici. Il dolore viene descritto nei minimi dettagli. È un dolore che affligge l’anima, ma anche il corpo privandolo del giusto nutrimento e della luce del sole.

La questione del tempo

Il tempo nel romanzo ci appare come un piccolo granello di sabbia che scende nella clessidra del mondo tramite le apparizioni dell’Uomo Errante nel corso della Storia.

Faust & Mephistopheles

Faust & Mephistopheles – Charles Ricketts, Public domain, via Wikimedia Commons

Il tempo, come gli orologi molli di Salvador Dalì viene dilatato per mezzo di storie matrioska che ci rendono partecipi alle dinamiche narrative. Nel racconto più lungo, ovvero quello del giovane Alonzo costretto alla vita monastica in segno di penitenza di un oltraggio alla morale dell’epoca, il tempo viene rubato e non c’è nulla che possa ridargli quella fanciullezza sciupata tra volti ostili.

Il tempo a un certo punto sembra addirittura annullarsi, quando il giovane Melmoth si rende conto che l’antenato del ritratto non è mai morto, portandoci a pensare che il tempo non esista e che sia solo uno strumento dell’uomo per scandire e quantificare l’esistenza.

La vita monastica allontana da Dio

La vita scelta per Alonzo è un’esistenza che lui rifiuta con tutte le sue forze, imposta dai genitori e da un padre spirituale burattinaio.

Leggendo la storia del giovane erede Monçada, ci si rende conto che la vita dei monaci non è serena, non è fatta di contemplazione né di amore per i prossimo. Il monastero alle porte di Madrid è un covo di pettegolezzi, torture e malumori. I vertici traggono soddisfazione nello sfibrare un uomo che ha come unica colpa quella di voler vivere secondo i suoi sogni.

Sono le continue privazioni in nome di una morale e una fede ossessive che fanno emergere gli appetiti più spregevoli. L’ombra della Santa Inquisizione spaventa il lettore che non può non simpatizzare con il povero monaco vittima di una congiura di grandi dimensioni.

L’uomo cade sempre in tentazione

Maturin attraverso il suo personaggio tentatore affronta il problema del Male come stigma metafisico impresso dell’animo umano, al quale è impossibile sottrarsi.

Il patto faustiano viene sempre suggellato anche se subentra subito il pentimento per timore della dannazione. Il Male ha una sua personificazione, perché l’uomo ha bisogno di toccare e vedere ciò che lo turba e lo ossessiona. La cosa che più turba il lettore è la risata del Male, che si beffa degli uomini creati per soffrire con un continuo desiderio che non riescono mai ad appagare.

Conclusioni generali

Maturin ci insegna che le paure dell’uomo sono sempre le stesse pur viaggiando tra epoche diverse e anche se la morale si modifica.

La lettura è impegnativa, ma ne vale davvero la pena perché si esce trasformati. Ci sono dei passaggi molto spaventosi, altri riflessivi. È indubbiamente un must che tutti dovrebbero leggere a prescindere da chi ama il gotico come la sottoscritta.

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