Dic 15, 2019 | 0 commenti

I segreti di Symmes – Intervista a Sebastiano Brocchi

Dic 15, 2019 | Cinema, Sebastiano Brocchi | 0 commenti

Abbiamo parlato qualche giorno fa del progetto SYMMES, il film ideato da Sebastiano B. Brocchi, dal quale ci aspettiamo grandi sorprese. E proprio per poter entrare dietro le quinte du questo progetto abbiamo invitato sul nostro portale la mente dietro il progetto, Sebastiano appunto.

Intanto ti diamo il benvenuto sul nostro portale e ti auguriamo una piacevole presenza. Cominciamo dal principio. Per chi non ti conoscesse, vuoi dirci qualcosa di te?

Grazie a voi dello spazio che avete scelto di dedicare a me e al mio progetto. Mi considero una persona creativa e piuttosto eclettica, il che mi ha spinto e mi spinge tuttora a sperimentare in diversi campi, attraverso vari media e canali espressivi. Sono uno scrittore, autore di dodici libri e numerosi articoli su riviste e siti web (in questo ambito ho avuto anche il piacere e l’onore di intervistare varie importanti personalità internazionali nei più diversi settori di cultura e spettacoli), un artista, ma amo anche definirmi un filosofo nel senso più umile e genuino del termine: un amante della sapienza, il che mi ha portato ad approfondire molti argomenti legati alla spiritualità, la simbologia, il sacro.

Puoi raccontarci la tua passione per il fantasy e per la fantascienza?

In primo luogo si tratta dei generi più vicini all’immaginazione “pura”, quelli in cui l’ispirazione artistica può fluire più liberamente ed esprimersi in modo più visionario. Inoltre sono mondi che flirtano costantemente con l’archetipo, il simbolo, l’allegoria, in cui cioè eventi, luoghi e personaggi sono spesso la rappresentazione di sentimenti, emozioni profonde, stati dell’animo. Sono storie “eterne”, che possono parlare al cuore degli uomini di ogni tempo e luogo proprio perché non si identificano con una specifica realtà concreta e storica. In questo sta la loro vera magia.

Parlaci un po’ di SYMMES. Come è nato questo progetto? Soprattutto quale è stata la molla che ti ha fatto pensare “è questo che voglio fare”?

In un certo senso quello di realizzare un film di fantascienza credo fosse un sogno nel cassetto fin da quando, da bambino, mi regalarono il bellissimo cofanetto dorato della trilogia di “Star Wars” in VHS.

Ma parlando di eventi più recenti, credo che l’idea specifica mi sia venuta osservando il paesaggio dal finestrino durante una trasferta in auto: guardavo delle grandi cave di granito sul fianco delle montagne e in quegli scavi mi sembrava di riconoscere un’eloquente metafora. Mi sono chiesto: e se scavassimo fino al centro della terra per poi accorgerci che non resta più nulla da estrarre? Cosa faremmo allora? E se ci fossimo dimenticati di “scavare” anche in un’altra direzione, ovvero nei nostri cuori, per ritrovare certi sentimenti e valori che forse sono stati un po’ troppo assorbiti e “sciolti” dal flusso inarrestabile della produzione e della modernità? Così ho pensato di riproporre queste domande in un’ambientazione distopica, un pianeta fittizio in cui tali scenari fossero ormai divenuti tangibili insieme alle loro estreme, drammatiche conseguenze.

La tua carriera nasce però e si sviluppa come scrittore. Il cinema e la scrittura sono due ambienti molto diversi fra loro, seppure molto simili. Entrambi donano un certo tipo di emozioni anche se con tecniche differenti. Come è fare un film rispetto allo scrivere un libro?

In realtà ho sempre avuto un approccio molto “fluido” alla creatività. L’importante per me è la visione, il messaggio da trasmettere: il mezzo espressivo, gli strumenti, diventano un aspetto secondario. Il mio spirito profondamente indipendente e “autodidatta” mi porta a sperimentare molto e cercare di trarre il meglio dai diversi canali o media che utilizzo di volta in volta per raccontare una storia.

È vero che “nasco” come scrittore ma sono anche stato co-realizzatore di un videogioco (“Eselmir e i cinque doni magici”, Stelex Software), ho in cantiere un fumetto, mi sono cimentato spesso con il design e la grafica digitale, e più recentemente ho deciso di lanciarmi anche nell’avventura della regia. Sperimentare mi permette di avvicinare nuove tecniche e capire il loro linguaggio: all’inizio ognuna di esse può sembrare un mondo a parte, una “lingua straniera”, ma man mano che le si dedica il proprio tempo e il proprio entusiasmo esse iniziano a dischiudere i loro segreti e i loro “incantesimi”.

In realtà ogni volta che scrivo un libro io cerco di “visualizzare” quella storia proprio come se stessi girando un film mentalmente, e potrei dire in un certo senso che anche girare un film sia un po’ come tentare di scrivere un romanzo raccontandolo con immagini e suoni oltre che con le sole parole. Nella mia mente una tecnica non è che il prolungamento e lo “specchio” dell’altra. Certamente scrivere un libro ti mette tra le mani un potere immaginifico pressoché illimitato: la storia può spingersi là dove riesce a spingersi la tua immaginazione, proprio come quando disegni. In un film le cose sono un po’ diverse nel senso che compaiono molti più limiti realizzativi: non basta immaginarlo per vederlo comparire, anzi, bisogna armarsi di molta pazienza e dare fondo alla propria inventiva per aggirare gli oggettivi limiti di budget o di tecnologie a disposizione (ad esempio).

Cosa c’è di Sebastiano nei tuoi personaggi? A quale ti senti più vicino?

I miei personaggi non sono mai delle “persone” vere e proprie, credo si possano definire più come delle “funzioni psicologiche”, delle parti dell’animo, delle emozioni o degli archetipi. Perciò ribalterei la questione: non ci sono io in un certo personaggio, credo piuttosto che in qualche modo tutti i miei personaggi vivano in ognuno di noi, perché cercano di rappresentare degli aspetti universali che ci portiamo dentro: delle domande, delle paure, delle risposte, dei sentimenti.

In quale lingua hai girato il film?

A costo di risultare controcorrente in un’epoca anglofona, sono felice di dire che “Symmes” è stato girato e verrà presentato al pubblico in italiano, una lingua di cui dovremmo essere fieri e che nel mio lavoro cerco di valorizzare come posso: da scrittore non posso impedirmi di ambire a una certa ricercatezza linguistica anche nella sceneggiatura di un film, cosa che ahimè percepisco carente in molte attuali produzioni, caratterizzate da dialoghi estremamente sbrigativi e una prosa fin troppo “colloquiale”. Io credo invece che una “bella scrittura” costituisca una marcia in più, sia in un film che in un videogioco.

Mi auguro quindi che quella stessa cura che è valsa al mio “Eselmir e i cinque doni magici” una nomination come “Best Writing – Drama” agli Aggie Awards 2018, possa riconoscersi e apprezzarsi anche nella sceneggiatura di “Symmes”. Detto questo, chiaramente non escludo lo sviluppo di una traduzione inglese (o in altre lingue) in un secondo tempo: dipenderà anche dalla risposta del pubblico e dai mezzi a disposizione.

Possiamo definire SYMMES come un inno pregno di filosofia. Puoi raccontarci meglio come questa si sposa con il tuo progetto.

Certo: in un filone di cinema fantascientifico dominato soprattutto (con le debite eccezioni) da un clima d’azione dai ritmi serrati, da effetti speciali cacofonici e scoppiettanti, da pistole laser e inseguimenti spaziali; io ho preferito tentare un approccio diverso, molto più intimista, riflessivo, poetico per certi versi.

Lo definirei una sorta di affresco emotivo, sospeso in atmosfere aliene ma al contempo incredibilmente vicino all’anima. Un pellegrinaggio perlopiù solitario della protagonista su un pianeta brulicante di fermento ma ormai povero di vita, poiché gran parte delle attività ormai sono svolte da droidi e macchinari mentre la popolazione “umana” si è vista costretta ad abbandonare quei luoghi divenuti inospitali.

Un pianeta diventato silenzioso (al di fuori dei rumori dell’industria e dal fragore di un clima ostile) nel cui silenzio troveranno voce le domande, le paure e le inquietudini della protagonista, insieme forse a delle possibili risposte.

Parliamo di bellezza. La bellezza è un altro dei temi sul quale è caduto il focus del tuo progetto. La bellezza della natura associata al femminile. Ho notato tra l’alto una forte presenza di personaggi femminili. Tu, ami le donne.

Indubbiamente questo è un altro aspetto cui ho dato rilievo nella pellicola, ma c’è qui una celebrazione della bellezza femminile che si accosta quasi di più allo stilnovismo e alle sue “donne angeliche”, o alle muse degli artisti rinascimentali, che non alla bellezza carnale ed erotica più spesso omaggiata dal cinema contemporaneo. Infatti gran parte dei personaggi femminili del film avranno una funzione quasi astratta, intangibile, enigmatica, ieratica. Un po’ come in certe visioni del cinema jodorowskyano.

L’accento non è posto sulla bellezza del corpo femminile in quanto tale ma soprattutto in quanto riflesso di un’armonia estetica più profonda insita in ogni aspetto del creato, in contrapposizione alla “bruttezza” e violenza dell’opera distruttiva perpetrata dagli uomini ai danni del pianeta.

Facendo quindi un resoconto di quanto abbiamo detto. Quale dichiareresti essere l’anima di SYMMES?

Fin dai tempi antichi, un topos quasi onnipresente nella mistica è la descrizione di reali o metaforici “viaggi nel deserto” per ritrovare il senso delle cose. Io ho spostato quel simbolico “deserto” nello spazio, e in un pianeta sventrato, umiliato, saccheggiato. Viaggiare fino ai confini del cosmo per trovare significati che potrebbero già essere incredibilmente vicini a noi, quindi un’esplorazione che diventa, di fatto, introspezione. Non ho fatto che portare “tra le stelle” delle domande che i mistici, i filosofi, gli scienziati e gli uomini di fede si pongono e ci pongono dalla notte dei tempi.

SYMMES è una realtà che possiamo inquadrare in un futuro imprecisato in cui il mondo che forse potremmo definire abbastanza simile al nostro. Da quello che ho letto, possiamo forse intravedere una sorta di monito?

Indubbiamente. Il pianeta Symmes non è che una proiezione pessimistica di ciò che potrebbe succedere alla Terra se non sapremo fermarci in tempo dosando i nostri bisogni, imparando un diverso rapporto con la natura, il quale non potrà che essere una diretta conseguenza dell’imparare un diverso rapporto in primo luogo con noi stessi. Il film è costruito su questo semplice ma imprescindibile messaggio ecologico e umano.

Hai parlato di riciclaggio e di ecologia. In che modo esattamente hai fatto sì che questi due temi si incontrassero? Non trovi strano associare così tanta tecnologia alla natura in un certo senso?

Realizzare “Symmes” è stata ed è prima di tutto una sfida con me stesso e con le mie capacità: per non essere una delle tante persone che predicano bene e razzolano male, sto cercando di produrre un buon film con mezzi economici e materiali davvero irrisori, direi quasi inesistenti soprattutto se confrontati ai costi spropositati delle “normali” pellicole di fantascienza. Il vero investimento, qui, è stato soprattutto in termini di tempo e passione impiegati nel progetto: mi sarebbe difficile quantificarli.

Ho cercato di occuparmi praticamente di ogni aspetto, dalla scrittura della sceneggiatura al design di ogni singolo elemento, passando dalle riprese agli effetti grafici e al montaggio, senza dimenticare la necessità di fabbricare alcuni oggetti scenici per i quali appunto mi sono avvalso soprattutto di materiali riciclati, oggetti scartati e gettati che nel film hanno trovato una nuova vita!

L’accostamento tecnologia/natura, come dici, sicuramente stride un po’, ma è assolutamente voluto: volevo mostrare proprio una situazione in cui la tecnologia costituisse l’unico e l’ultimo strumento con cui gli esseri umani si fossero relazionati alla natura, tanto da far scomparire totalmente quest’ultima. Su Symmes non c’è più traccia alcuna di vita o ecosistemi, che sono stati rimpiazzati da ecosistemi artificiali fatti di macchine destinate al lavoro. L’umanità ha lasciato il posto alla robotica, e questa ha continuato inesorabile a compiere le proprie mansioni anche molto tempo dopo l’evacuazione del pianeta da parte degli uomini. Quindi nel film la natura è la grande assente, salvo una natura ormai del tutto inaridita, spolpata, sfruttata indiscriminatamente.

Spero che tutto ciò non venga visto assolutamente come una critica alla tecnologia e al progresso, i quali sono decisamente necessari e positivi per l’umanità e l’evolversi della civiltà. Ma è giusto capire in tempo che tecnologia e progresso sono delle armi potenzialmente molto pericolose e distruttive se a guidarle non interverrà una consapevolezza più matura, fondata sul rispetto del pianeta e la gratitudine per le sue preziosissime risorse.

A quali tecnologie ti sei affidato?

Spesso mi sono sentito come certi pionieri del cinema fantascientifico!

Ricordiamoci che alcune delle più grandi pellicole di fantascienza del Novecento – parlo dei tempi precedenti all’avvento massivo della grafica 3D – furono il frutto di una brillante inventiva, perché i realizzatori dovevano compensare le mancanze di risorse tecnologiche facendo ricorso a vari “stratagemmi”. Vi era anche un massiccio utilizzo dell’artigianato in vari settori, pensiamo anche solo ai pittori di fondali o agli scultori di elementi scenici!

Ecco, anch’io mi sono trovato nella situazione di voler ottenere i migliori risultati possibili con mezzi estremamente limitati. Ho realizzato le riprese con una semplicissima macchina fotografica digitale manuale (niente troupe e attrezzature), ma soprattutto, compiendo un’altra scelta decisamente controcorrente, ho realizzato tutti gli effetti speciali in 2D, con Photoshop, affidandomi poi ad iMovie per creare le animazioni. Molte persone rimangono alquanto sbigottite quando lo scoprono perché mi dicono che la profondità di certe scene viste nelle immagini in anteprima e nel trailer fanno pensare al 3D, ma si tratta sempre di “illusioni ottiche” ottenute sovrapponendo tanti diversi piani in 2D!

Questo spiega anche le lunghe tempistiche di realizzazione. Se si dispone di un modello 3D (di un’astronave, ad esempio) è possibile ruotarla in tutte le angolazioni e direzioni, ma in 2D è necessario ridisegnare ad hoc ogni angolazione che si voglia mostrare.

Passiamo a un lato più tecnico. Come hai scelto cast, location e musiche?

Non disponendo di fondi per il progetto (che ricordo non è a scopo di lucro perché non intendo commercializzarlo), per il cast mi sono affidato soprattutto alle conoscenze dirette, ad amici insomma, o persone che via via si sono interessate al progetto trovandovi un messaggio importante, o ispirate dalla qualità artistica che vi hanno riconosciuto.

Per le location ho individuato diverse località nel Cantone Ticino (Svizzera) che per la loro architettura richiamassero aspetti avveniristici o comunque connessi alle ambientazioni di stampo tecnologico-industriale richieste dallo scenario. Tra l’altro non è stato sempre facile o possibile ottenere i permessi per girare in certi luoghi, ma per altri ho avuto la fortuna di imbattermi in persone molto cordiali, disponibili e affascinate dal mio progetto, che mi hanno permesso di filmare alcuni edifici davvero significativi e stilisticamente impressionanti.

Tutto ciò che, invece, per ovvie ragioni non poteva essere trovato “sulla Terra”, è stato generato con photoshop, ad esempio i paesaggi, le vedute panoramiche, o l’estensione fittizia di molti edifici.

Quale è stata la parte più difficile di tutto il progetto?

Il tempo. Anche se “Symmes” non sarà un filmone di 2h (immagino che il risultato finale sarà un mediometraggio), anche le scene più brevi, che magari sfileranno sotto gli occhi degli spettatori in pochi secondi, hanno richiesto e stanno richiedendo una pazienza titanica. Tempo per essere concepite, tempo per essere “rese possibili” (non foss’altro che per combinare la disponibilità di cast e location), tempo per essere elaborate e trasformate nel loro aspetto definitivo.

Un conto è girare dei video e postarli in internet aggiungendo magari un paio di filtri e una musichetta di sottofondo, è qualcosa che possiamo fare in tempi molto brevi. Ma in un tipo di film come “Symmes” la maggior parte degli elementi presenti in una singola scena devono essere prima disegnati a mano, poi creati con Photoshop, poi integrati nella scena “reale”, poi armonizzati con vari altri effetti (luminosi, climatici…), con il sonoro… possono volerci anche 4 o 5 ore per sequenze di 3 secondi.

È come creare dei mosaici pieni di minuscoli ma irrinunciabili tasselli. No anzi, è sicuramente sbagliato dire “irrinunciabili”, perché mi rendo conto che la maggior parte di essi sono “irrinunciabili” solo ai miei occhi, ma forse sono proprio quelli a “fare la differenza”. Dettagli che forse nessuno noterà, ma che qualora venissero notati farebbero apprezzare più profondamente l’impegno e l’amore che li hanno visti nascere. L’attenzione per le piccole cose.

Grazie mille Sebastiano di essere stato con noi e di averci fatto conoscere il meraviglioso mondo alle spalle di SYMMES. Speriamo con questa intervista di aver incuriosito i nostri lettori e consigliamo a tutti voi di vederlo non appena avremo una data di uscita.

Autore

  • KeiLeela

    Classe '90. Nella vita mi occupo di codice e grafica, nel tempo libero navigo verso mondi fantastici. Fondatrice del portale Vampire's Tears, tratto di argomenti legati all'horror e al fantastico. Indago su miti e leggende e misteri esoterici.

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