Continuiamo con il racconto Sorgenti Cremisi per il progetto Favole da Compagnia. Questo è il secondo episodio di quattro che verranno condivisi mano mano sul nostro portale per tenerci un po’ di compagnia in questi giorni. Se vi siete persi il primo capitolo lo trovate qui.
Sorgenti Cremisi
2.
Il solo nome della dinastia di Nádasdy avrebbe, a quell’epoca, fatto raggelare il sangue nelle vene a chiunque l’avesse solamente udito.
Quello che era accaduto fra quelle mura fino a pochi anni prima non era un mistero per nessuno degli abitanti della piccola città ungherese. I sospetti nei confronti della contessa erano nati già molti anni prima, quando iniziarono le misteriose scomparse di giovani donne.
Le prime erano state contadine, poi con il passare del tempo si erano aggiunte anche dame di un certo ceto sociale.
Quelle storie terribili avrebbero terrorizzato chiunque si fosse avvicinato a quelle mura e la loro sola vista, per giunta, non era per nulla rassicurante per chi avesse pensato di mettere piede al suo interno.
Alcune voci avevano raccontato che, coloro i quali avevano vagliato il castello alla ricerca di prove erano rimasti completamente sconvolti da non riuscire a proferire parola per mesi interi.
Tuttavia, per quanti in quel castello avevano trascorso un lungo periodo della loro vita, e non erano stati fra le vittime straziate in quelle prigioni, quei luoghi dovevano apparire sotto un’ottica completamente diversa. Quelle prigioni si potevano definire familiari.
Nulla era stato mosso da come essi lo avevano lasciato un tempo. La vergine di ferro ancora irta in un angolo, presentava tracce di sangue incrostato, tanto che era possibile sentirne l’odore rappreso. Così come era percepibile ancora un’aria di morte e disperazione che, per le due figure che ora si muovevano al suo interno, era più inebriante di qualunque vino o spezia.
A quella vista, al ricordo di ciò che era stato un grande passato, un tempo trascorso e che probabilmente non avrebbe fatto più ritorno, il viso di Ilona s’incupì. E Lazslo non poté fare a meno di notare quella vena malinconica che solcava la bella fronte e le correva sull’angolo della tempia fino a sfiorarle l’occhio.
Ma non le disse nulla. In quel momento la donna era fin troppo facile all’ira. Si limitò a poggiarsi ad uno dei numerosi tavoli di legno, aspettando che lei potesse scegliere come proseguire.
Ilona conosceva Erzsèbet meglio di chiunque altro, lei che era stata la nutrice delle sue figlie, lei che era stata la sua ancella più fedele.
Silenzio…
Se c’era una cosa che Lazslo odiava era quando fra loro si creava quel terribile silenzio, quel silenzio a cui non sapeva dare alcuna risposta. Tossì, cercando di attirare l’attenzione di lei che si voltò nella sua direzione.
–È qui!- disse -L’avverto, sento la sua presenza, il suo potere. È ancora molto forte.-
Un sospiro di sollievo da parte dell’uomo. Aveva atteso decisamente troppo, ma la fortuna, pensava, aveva finalmente cominciato a ricordarsi nuovamente della sua esistenza.
–Puoi trovarla. Sei stata la sua prima creatura, quindi puoi trovarla. Sei l’unica che può riuscirci. Hai un legame con lei che è più forte di quello che possa avere chiunque altro.-
Ilona lo guardò accigliata.
-Non credere che sia facile.- gli disse –Sto facendo quanto mi è possibile, piuttosto cerca di evitare di distrarmi.-
In risposta egli cercò di annuire, ma era troppo nervoso per poter controllare le proprie reazioni.
Vagava da un angolo all’altro di quella macabra prigione cercando di allontanare i propri pensieri da sé stesso. Cercando di rendere quell’attesa il meno snervante possibile.
Non era facile, doveva ammetterlo. Ilona stava cercando di contattare una presenza che probabilmente non avrebbe risposto. Una presenza che si faceva sentire solo per il suo grande potere, ma che non mostrava alcuna traccia di dove potesse celarsi. E poi quando gli parve di aver atteso secoli, ecco che allora Ilona rispose alle sue silenziose preghiere: l’aveva trovata.
Come entrambi avevano supposto Erzsèbet era lì, nascosta in una tomba fatta di pietre e mattoni. Fu facile riportare il suo corpo alla luce.
La parte difficile sarebbe arrivata in seguito. L’indomani quando sarebbe nuovamente calato il sole essi avrebbero tentato qualcosa che andava ben oltre ciò che avesse osato qualunque altro Vampiro prima di allora: risvegliare chi, per propria scelta, aveva deciso di ricacciare sé stesso in uno stato di sonno così simile alla morte che nemmeno Dio avrebbe potuto notare la differenza.
Un racconto di: Eleonora Carrano
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