Le Scarpette dei Medici di Pearl Norton Swet è il penultimo racconto del nostro viaggio fra i misteri di Firenze. Grazie al Giglio Nero della collana La Biblioteca di Lovecraft, abbiamo camminato le strade di questa antica città, la sua storia e la sua arte. Ed ora, quasi giunti alla fine del nostro viaggio, il nostro percorso va ad incrociare quello di una delle famiglie più celebri di questa città: i Medici.
Trama
Silas Dickerson aveva collezionato nel corso della sua vita le più magnifiche opere d’arte, conservandole tutte in un piccolo museo privato. Alla sua morte, questi averi passano nelle mani del nipote John Delameter, in quanto suo preferito. L’unica richiesta è le Scarpette dei Medici venissero distrutte. Tuttavia la moglie di quest’ultimo Suzanne prova una profonda attrazione tanto da chiedere di poterle indossare almeno una volta.
Tuttavia sembra che le scarpette siano seguite da una terribile maledizione che colpisce ogni donna che le indossa.
Le Scarpette dei Medici – Recensione
Come nel racconto precedente, Il Crocifisso, anche questo racconto non è ambientato a Firenze, ma ha un legame con questa città: le scarpette, appunto. La famiglia dei Medici è sicuramente una delle più della storia di Firenze e, in generale, anche di quella Italiana.
In particolare però abbiamo il tema delle scarpette. In tutto e per tutto esse costituiscono un oggetto maledetto. Chi le indossa assume la personalità della donna che ha dato loro questo potere e si comporta esattamente come questa farebbe. La vittima, una volta rimosse le scarpette, sembra non ricordare nulla di ciò che è loro accaduto.
Di fatto sembrerebbe che le scarpette causino una sorta di possessione nella loro vittima e dal momento in cui vengono indossate a quello in cui vengono rimosse. Di oggetti maledetti e storie legati ad essi ve ne sono molti. Potremo menzionare nuovamente Il Ritratto di Dorian Gray di Wilde o il medaglione presente nel Cane di Lovecraft. E del resto il Necronomicon stesso può considerarsi un oggetto maledetto a pieno titolo. Restando in tema di scarpe potremo anche ricordare Le scarpette logorate dal ballo dei Fratelli Grimm
Nel cinema proliferano le bambole. Un esempio sono Annabelle (tra l’altro ispirata da una vera bambola) e Chucky per chi ancora lo ricorda. Parlando di bambole, poi, possiamo anche menzionare il marinaretto Robert, anche lui reale, a cui dedica una bella puntata LORE.
E poi anelli, collane, ninnoli vari, libri, bambole, quadri, videocassette perfino hanno tutti la loro lunga storia di maledizioni, ma se dovessimo menzionarli, l’articolo diventerebbe infinito e perciò se ne avete interesse lasciate un commento qui sotto e ne li tratteremo a parte.
Le scarpette dei Medici è un racconto che tiene il lettore con il fiato sospeso. Ha tutte le carte in regola per quello che è un racconto dell’orrore. Dal “ritrovamento” dell’oggetto vi è un climax che, passando per la legenda a cui esso è legato, cresce fino alla rivelazione finale in cui questo esplode nella sua massima manifestazione, mettendo protagonisti e lettore faccia a faccia con la realtà. E l’atmosfera si piega, come nelle migliori storie di fantasmi, agli eventi intensificando, così, le emozioni.
A mio dire, uno dei racconti migliori dell’intera raccolta.
Già mi ero innamorato di questa raccolta poi mi citi Lovecraft e Wilde… mi hai stesa 🤣
Quando sento odor di maledizione già le mie sinapsi gotiche vanno in tilt poi mi citi Lovecraft e Wilde non posso che augurarmi che il corriere abbia le ali 🤣
Io ho un problema con le citazioni, mi rendo conto XD
Si dice che gli oggetti conservino “memoria” se chi li ha posseduti o gli eventi in cui son stati coinvolti sono stati abbastanza forti. Si dice che si impregnino delle emozioni che altro non sono che energia psichica, dei loro proprietari…sicuramente una storia molto, molto intrigante!
Esatto. Per un istante ero tentata di citare King e il suo Rose Red. Lì però è l’intera abitazione che si impregna delle energie dei fantasmi della casa, ma di Ellen principalmente. Questo a mio dire è il più esoterico dei racconti proprio perché lascia trasparire come un oggetto sia molto più di un oggetto semplice, ma racchiuda in sé la sua stessa storia.