Ispirato al racconto Jambula Tree di Monica Arac de Nyeko, la pellicola Rafiki vanta di un primato d’eccellenza. Si tratta del primo film keniano ad essere stato proiettato al Festival di Cannes, nel 2018. Eppure, un tale riconoscimento non è bastato ad evitare che l’opera fosse vietata nelle sale del Kenya. Vediamo perché.
Trama
Nairobi, giorni nostri. Kena Mwaura è una giovane ragazza che sogna di diventare infermiera. I suoi genitori sono divorziati. Kena vive con la madre, una donna brillante, ma piena di risentimento. Il padre, John Mwaura, gestisce un piccolo negozio d’alimenti ed aspira a diventare sindaco di Nairobi. La figlia e la comunità tutta lo apprezzano per la sua generosità, nonostante le umili origini.
La vita di Kena trascorre serena, tra ricorrenti verifiche scolastiche e tranquilli pomeriggi al bar con i soliti amici. Un giorno conosce Ziki, una ragazza anticonformista e singolare. Cupido scocca la sua freccia e in poco tempo la quotidianità di Kena viene stravolta. A rendere le cose più complicate c’è il fatto che Ziki è la figlia di Peter Okemi, rivale politico di John.
Ha così inizio una storia d’amore che deve fare i conti con una comunità conservatrice, retrograda e piena di pregiudizi, per poter (forse) sopravvivere.
La pellicola, che consegna alle scene il talento di Samantha Mugatsia, ci mostra i colori di una città che con difficoltà guarda al futuro. Nairobi custodisce i suoni vibranti di una cultura pronta ad abbracciare il progresso, ma repressa dalle catene di un solido tradizionalismo religioso e culturale.
Diritti LGBT in Kenya
In swahili la parola “rafiki” vuol dire “amico“. Le sezioni 162 e 165 del Codice Penale del Kenya affermano che l’omosessualità è un crimine. La reclusione, dai 5 ai 14 anni, è la punizione stabilita per questo reato. Ovviamente, non esistono nemmeno leggi che tutelino le vittime di discriminazione ed atti violenti commessi sulla base dell’orientamento sessuale.
Per questo motivo, le persone omosessuali che vivono in Kenya sono costrette a nascondere le proprie relazioni. Fidanzati e partner di una vita sono presentati alla famiglia e alla società come semplici “amici”.
In Rafiki, quando la comunità scopre la relazione tra Kena e Ziki, le due ragazze vengono lapidate in pubblico. All’arrivo della polizia, sono poi prelevate e condotte in commissariato. I teppisti che le hanno aggredite, invece, non solo non vengono arrestati, ma sono liberi di andare come se nulla fosse successo. L’unica persona che sottolinea quanto questa situazione sia assurda è il papà di Kena. John Mwaura dovrà addirittura difendere la figlia agli occhi della moglie, accecata da una profonda religiosità. Il giorno seguente, la donna obbligherà la figlia a prestarsi ad un rito religioso di “purificazione”. In una scena, tanto umiliante quanto primitiva, la comunità chiederà a Dio di guarire Kena dall’omosessualità.
Queste scene ci mostrano come, in Kenya, l’omosessualità sia considerato un crimine anche al di fuori dei palazzi di giustizia. Il clero descrive l’amore tra persone dello stesso sesso come l’offesa più grave che si possa commettere verso Dio. E così, sermone dopo sermone, influenza l’opinione pubblica e perfino i sentimenti di una madre verso la propria figlia.
Accoglienza
Considerata la situazione politica, non è difficile comprendere perché la Kenya Film Classification Board (KFCB) abbia deciso di vietare questo film. La KFCB è un’azienda che opera sotto il Governo del Kenya. Questa società ha il compito di regolare la creazione, il possesso, la distribuzione e la classificazione dei film. Secondo la commissione, Rafiki è contrario alle leggi del Kenya perché promuove il lesbismo. Di conseguenza, ne hanno vietato sia la proiezione, sia il possesso personale.
Per evitarne il bando, la regista avrebbe dovuto modificare il finale della storia, considerato “troppo ottimista e speranzoso”. Tuttavia, non solo Wanuri si è rifiutata di soddisfare questo requisito, ma ha addirittura deciso di citare il Governo del Kenya in giudizio. Il 21 settembre 2018 l’Alta corte del Kenya ha annullato il divieto, permettendo la proiezione del film nel paese per 7 giorni. In questa settimana, Rafiki ha fatto il tutto esaurito, battendo anche gli incassi di Black Panther.
L’anno seguente, Samantha Mugatsia ha vinto il premio come miglior attrice al Festival Panafricain du Cinéma de Ouagadougou (Burkina Faso).
Recensione
Ancora una volta assistiamo alla rappresentazione di un amore proibito, osteggiato da amici, parenti, principi morali, diktat religiosi e leggi statali. Un Romeo e Giulietta moderno, a tratti banale e scontato, se non fosse che Rafiki è il primo film keniano a rappresentare un amore apertamente omosessuale. E lo fa con una singolarità tale da riuscire a celebrare anche una narrazione a tratti prevedibile.
Le musiche ed i colori di Nairobi sono così vibranti da coinvolgere costantemente i sensi. Ma ciò che ho apprezzato particolarmente sono le inquadrature: tagliate, zumate, fisse sul dettaglio. Uno sguardo che serve a dar valore al privato, al personale, ai sentimenti più di tutto. Come a dire che il mare è fatto di gocce d’acqua e che a volte le gocce sono più importanti di interi mari ed oceani.
“Le brave ragazze keniane, diventano brave mogli keniane.“
Uno dei temi centrali della storia è quello delle aspettative. La vita di una donna keniana è fatta di obblighi da rispettare per non deludere la propria famiglia, in primis. Poco importa se sei una ragazza intelligente e brillante. Una perfetta donna del Kenya deve saper cucinare il chapati, sposarsi, avere dei figli e prendersi cura della casa. Kena, nella sua indiscussa sottomissione alle regole, si concede un piccolo sogno: diventare infermiera. Non perché lo desideri davvero, piuttosto perché “gli infermieri servono alle persone“. In realtà, i suoi voti le permetterebbero di andare all’università e diventare un dottore, ma Kena non è pronta a sovvertire le aspettative sociali. Se tutto andrà “bene”, un dottore lo sposerà, proprio come desidera sua madre.
Poi arriva Ziki, la ragazza anticonformista che le instilla la pulce nell’orecchio: “Perché un’infermiera? Potresti essere qualunque cosa“. Con molta probabilità per via delle proprie origini abbienti, Ziki è nata con un diritto (o un lusso) che Kena dovrà imparare a concedersi: sognare.
“Mi piacerebbe andare da qualche parte dove potremmo essere reali”
E poi c’è l’omosessualità, o anche il diritto di poter amare liberamente. Di poter scegliere un amore che sia spontaneo e sincero in una società così rigida. Una società impacchettata, “precotta”, pronta per essere consumata, che ti piaccia o no. Se donne e uomini hanno destini pubblici e privati predeterminati, come può sopravvivere un amore che rompe ogni schema?
Il sentimento di omofobia del Paese si sfoga su di un personaggio di cui non conosciamo l’identità. Un personaggio che non ha nemmeno una battuta, nonostante messo più volte sotto i riflettori. Si tratta di un ragazzo, identificato e deriso come gay dagli amici di Kena, ma di cui non sappiamo nulla. La conferma di questa presunta omosessualità ci viene data verso la fine del film. In una scena ancora una volta silenziosa, una Kena, diseredata e ferita, cerca conforto nella solitudine. Questo giovane le siede accanto per dimostrarle che è dalla sua parte e che probabilmente comprende il suo dolore. Una scena simbolica che dipinge il destino che un Paese omofobo come il Kenya destina alle persone lgbt: nascondersi e rimanere in silenzio.
Fortunatamente, il film si conclude con un liete fine. O almeno è quello che viene dichiarato da una serie di affermazioni, non ultima quella della KFCB, che ne ha chiesto la modifica. Personalmente sono dell’idea che il finale di questa storia sia aperto ad interpretazioni.
Un tema ricorrente in Shakespeare è la contrapposizione tra sogno e realtà e la combinazione confusa di questi due mondi. A parer mio, Rafiki è un Romeo e Giulietta moderno non solo per la rappresentazione di un amore tragico. A metà film, Kena ha una visione: immagina che il ragazzo che vorrebbe sposarla sia Ziki. Una sogno che dura pochi minuti, ma che mi ha colpito molto. È un caso che nella scena finale del film, Kena e Ziki si ritrovino proprio in quel posto, su quel prato? È davvero la realtà quella che vediamo o un’altra illusione?
Se siete curiosi di trovare una risposta a questa domanda, vi auguro una buona visione!
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