Qualche tempo fa abbiamo recensito il romanzo di Stefano Ferrara, Il Segno Opposto. Come nostra consuetudine abbiamo inviato all’autore alcune domande per farci raccontare qualcosa di più su questa storia.

Benvenuto sul nostro portale, per me è un vero piacere averti come ospite di Vampires Tears.
La prima domanda che vorrei farti è questa: sicuramente questo lavoro è frutto di tante ricerche e d’innumerevoli spunti, ma cosa ti ha ispirato principalmente per gettare le basi della storia di Yasir?

Il segno opposto di Stefano Ferrara

Il segno opposto di Stefano Ferrara
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Il romanzo è concepito dapprima come un’indagine sulla condizione degli invisibili, attraverso la restituzione dell’immagine del nostro opposto, sconosciuto, straniero, diverso eppure così simile. Ritroviamo in quell’opposto una molteplicità di condizioni umane, la stessa paura di soccombere, gli stessi dolori che la vita ha saputo procurare. La stessa potenza dirompente ed esatta dell’amore. La ricerca costante di un posto nel mondo e di una vita dignitosa. E questo vale per chi si trova ingabbiato nel proprio Paese così come per chi ha abbandonato la propria terra d’origine.

Migrare, spostarsi dal punto in cui i piedi hanno imparato a reggere il peso di ogni cosa non è un semplice andare ma uno squarcio nella vita.

Il romanzo nasce principalmente da quest’esigenza di racconto. Così come la possibilità di raccontare un intreccio di radici in cui l’identità del posto e di chi vi è nato si fonde con quella di chi proviene da una terra lontana. E in tal senso è una risposta alle paure.

Dentro non c’è solo una storia ma un’epoca, un tempo in cui il mondo appare ingestibile, privo di riferimenti, assediato dalle angosce e dunque dalle paure.

Ma questo romanzo racchiude la volontà di testimoniare la presenza di un altro mondo, di un altro tempo. Un tempo che sembra essere fuori dal tempo e fuori dalla storia. Il profondo Sud, dove la bellezza affiora nelle crepe dei secoli.

Parlaci anche un po’ di te, non soltanto del tuo lavoro di scrittore e giornalista, ma anche di Stefano Ferrara…

Non sono molto avvezzo a parlare pubblicamente del mio privato. Che è fatto di rituali, di lentezze, d’intimità mentale. Provo difficoltà a parlare di me non soltanto per preservare la mia natura schiva ma proprio per consentire agli universi narrativi e alla spinta gravida dell’immaginario di emergere in maniera pura, senza imbattersi nella raffigurazione dell’io.

Nella mia vita è quasi tutto frutto di un’ostinazione derivante dai flussi di coscienza, dai processi creativi. E dalla ricerca dell’altro, forma di nutrimento primaria.

Ci sono mondi immaginari nella mente di ogni scrittore che possono venire alla luce grazie ai propri scritti, quanto di quei mondi si è riversato in questo romanzo?

Ragazzino rifugiato

Image by Adnan Khalid from Pixabay

Qualcuno ha definito Il segno opposto un docu-romanzo, ed effettivamente la denuncia giornalistica intrecciata al romanzo richiama il mio mestiere. Ho tentato d’intrecciare la narrativa a un tipo di argomentazione più profonda, più articolata, più analitica. Che aiuta a conoscere la realtà e nello stesso tempo a esprimere un immaginario. E a penetrare psicologicamente.

I miei mondi si riversano nella densità di elementi, caratteri, vicende e volti: da condizioni emotive ed esistenziali a un’indagine permanente sull’identità, dal riconoscimento del prossimo al racconto della marginalità e al mio rapporto intimo con la natura. Fino alla meraviglia fragile dell’amore.

Ho amato molto i tuoi personaggi, ma per te quale di tutti i tuoi figli letterari pensi sia quello meglio riuscito?

Francesca, innanzitutto. Una creatura luminosa. Una donna giovane e operosa, dotata di grazia. Una donna capace di scalfire l’orrore.

E poi Guido Cervati, che tra i personaggi che ho tratteggiato detiene un primato affettivo, essendomi legato a lui fin dalle prime battute. Incarna, con una stupefacente caparbietà e un’incessante umanità, la missione imprescindibile del giornalismo. Incorreggibile amante di una verità frugata senza permessi e con scopo di beffa per l’ingiustizia.

Dal finale, ho sperato che scriverai un sequel, ma immagino che invece lascerai che rimanga una storia autoconclusiva o mi sbaglio?

Il lettore ha un potere enorme, oltre il compito di occuparsi della seconda metà del libro come sosteneva Conrad: quello d’immaginarsi il seguito, di custodire e di far rivivere i personaggi e le vicende dentro se stesso, dopo averne assimilato il carattere, i tratti e il contesto.

Ragazza che legge un libro appoggiata allo scaffale di una libreria

Ragazza che legge un libro appoggiata allo scaffale di una libreria
Foto di Wilson Vitorino: Pexel

Il finale di un romanzo è sempre il principio di un nuovo impulso di trama. Il lettore avrà così modo, attraversando la terra invisibile, quel tratto di mezzo che ognuno può trovare fugacemente negli scorci della propria periferia, in cui l’esistenza segna volti diversi e altri sospiri, d’incontrare il prossimo Yasir.

E di riscoprire Il segno opposto.

Quale dei grandi autori del passato o di quelli contemporanei hanno ispirato il tuo lavoro?

Essendo un romanzo legato alla tradizione classica, non posso esimermi dal citare un’autrice che ha condizionato la mia formazione letteraria e che ho amato in maniera autentica: Nadine Gordimer. La densità dei suoi romanzi e l’ampiezza delle tematiche, l’impegno civile e l’affresco di un Paese. La possibilità di rendersi abitante della propria epoca, del proprio posto, e di farne i conti. Nella denuncia e nel ritratto di un contesto, nel romanzo si collocano poi quegli elementi riconducibili a una narrativa neorealista e meridionalista.

Cosa consiglieresti agli autori esordienti che lottano per farsi strada nel mondo editoriale italiano?

Di non cedere mai, nemmeno se in preda alla disperazione, alle tendenze del momento. La scrittura è una ricerca intima che deve poter incidere sul lettore, indurlo a operare quel rientro nella complessità che rispecchia la vita, non una rincorsa a presunte esigenze di mercato o di visibilità. E in questo senso la complessità rappresenta il nutrimento principale per un romanziere, perché alimenta la necessità di raccontare il mondo e di contribuire a cambiarlo.

Ragazza che scrive

Ragazza che scrive
Foto di lil artsy: Pexel

Prescindendo dalle sirene del proprio ego e dell’inevitabile fonte di narcisismo che alberga in ognuno di noi.

E poi suggerirei di abolire qualsiasi aspettativa sulla meritocrazia, elemento non previsto dal mondo editoriale, sempre più piegato a logiche di mercato. Occorre legarsi a un editore serio, che possa valorizzare lo scritto, e accompagnare, e aprire nuovi varchi.

Ma se devi sborsare ingenti somme di denaro per poter pubblicare, come ormai accade nella maggioranza dei casi, allora meglio affidare i propri lavori al self-publishing: se si tratta un’opera valida, il suo valore emergerà indipendentemente dal punto di partenza.

Puoi svelarci qualcosa dei tuoi prossimi progetti editoriali?

Tornerò a battere il sentiero prediletto della poesia, che ha costituito a lungo il mio elemento e che si è incuneata prepotentemente nella mia prosa tanto da influenzarne la cifra stilistica.

Nel frattempo da una semina d’idee sta prendendo forma una casa editrice, Coltura Edizioni, che sarà il terreno di chi intende coltivare gli sterminati campi della narrazione individuale e collettiva.

Grazie di cuore per essere stato con noi e continua a farci sognare con i tuoi libri.

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