È tra i serial killer più efferati d’America, tra il 1978 ed il 1991 rapisce e uccide diciassette giovani uomini, ne violenta i corpi senza vita, di alcuni cucina e mangia le loro carni.
È Jeffrey Dahmer, il mostro di Milwaukee.
Nella sua casa al 924 North 25th Street, gli investigatori, dopo il suo arresto, ritrovarono numerosi teschi e scheletri umani, nel frigo una testa mozzata e due cuori, in un barile pieno di acido due torsi.
È un assassino, un necrofilo, un cannibale ma è anche un uomo, pericolosamente fragile.
Un serial killer atipico che scelse di non appoggiare la tesi difensiva della follia che gli avrebbe permesso di
scontare la pena in un ospedale psichiatrico e non in carcere.
Non chiese alcuna attenuante, collaborò ampiamente con le forze dell’ordine confessando i suoi crimini, riconobbe di “essere malato, o malvagio, o entrambe le cose” per citare le sue parole, non cercò di difendersi nemmeno quando Christopher Scarver, un detenuto malato di schizofrenia, lo aggredì, uccidendolo.
La perizia forense non rivelò alcun segno di colluttazione né i lividi sulle braccia tipici di chi cerca di proteggere viso e testa da un attacco frontale.
Destinato a pervadere la cultura di massa
La presenza di Dahmer nella cinematografia, nella musica e nel lessico comune è sorprendente.
Dalla sua morte avvenuta il 28 novembre del 1994 nel penitenziario dove scontava la sua pena, il mostro di Milwaukee ha ispirato tre film, più di dieci libri ed una miriade di riferimenti nell’ambito musicale e sul piccolo schermo.
Ultimi, solo per ordine temporale, la mini serie targata Ryan Murphy “Mostro – la storia di Jeffrey Dahmer” e il documentario “Conversazioni con un serial killer” ambedue disponibili sulla piattaforma Netflix.
Personaggi di questo genere hanno sempre fatto breccia nell’immaginario comune, basti pensare che assassini seriali come Ted Bundy, Richard Ramirez, Charles Manson e Dahmer stesso, ricevevano costantemente lettere d’amore e di “ammirazione”, Manson sposò in detenzione una “sua fan”.
Nel caso di Jeffrey il tempismo innanzitutto catturò l’attenzione popolare: i crimini di Dahmer furono scoperti appena sei mesi dopo l’uscita di Silence of the Lambs (Il silenzio degli innocenti) nei cinema.
Sull’onda emozionale e mediatica del film da oscar, i media non persero l’occasione di paragonare il killer cannibale Hannibal Lecter (Anthony Hopkins) a Dahmer.
Poco dopo l’arresto, People Magazine incluse Dahmer tra le 100 persone più intriganti del XX° secolo.
A dispetto della sua volontà testamentaria di essere dimenticato, nel 2002 esce il film “Dahmer, il cannibale di Milwaukee”, scritto e diretto da David Jacobson con Jeremy Lee Renner che veste i panni del protagonista.
Nella musica e nelle serie tv
Nel 2015 Seth Gabel interpreta il serial killer in due puntate di American Horror Story, altra fortunata serie firmata Murphy.
Nel 2000 la band grindcore Macabre fa uscire “Dahmer”, concept album incentrato sulle vicende del serial killer. Riferimenti a Jeffrey possiamo trovarli inoltre, nella canzone Dark Horse di Katy Perry, nella parte cantata dal rapper Juicy J. nel brano Cannibal della cantante Kesha e in Pass that Dutch di Missy Elliott. Nell’album Divine Intervention degli Slayer, la canzone 213 parla proprio di Jeffrey Dahmer.
A poco più di un mese dal suo rilascio (ottobre 2022) la serie Netflix Mostro – la storia di Jeffrey Dahmer è ancora tra le più viste al mondo e nonostante l’intento dichiarato degli autori e del protagonista (Evan Peters) sia stato quello di raccontare i fatti dal punto di vista delle vittime per evitare il rischio di far empatizzare il pubblico nei confronti di Dahmer, hanno ottenuto l’esatto opposto.
C’è chi ha accusato la serie di aver addolcito il personaggio raccontando della sua infanzia fatta di litigi furiosi tra i genitori, incomprensioni e abbandono contestualizzando Jeffrey in modo empatico.
Confrontando i fatti reali però, di romanzato c’è davvero poco o niente ed empatizzare non vuol dire giustificare ma comprendere i processi mentali dell’altra persona.
Nessuno cercherà mai di ridimensionare le azioni orribili di Dahmer ma personalmente riesco a relazionarmi con il tumulto interiore che lo ha portato a diventare il “cannibale di Milwaukee”.
Le origini del male
Jeffrey Lionel Dahmer nasce a Milwaukee il 21 maggio 1960 in quella che è già una coppia disfunzionale.
La madre Joyce soffre di depressione e stati d’ansia e assume psicofarmaci anche durante la gravidanza.
Il padre Lionel si rifugia sempre di più nella carriera accademica per evitare i frequenti litigi con sua moglie.
A dispetto di alcune fonti che sostengono il contrario, Jeff non ha mai subito abusi di alcun genere. Tuttavia è cresciuto in un clima familiare teso e pesante anche quando sei anni dopo nasce suo fratello David.
L’adolescente Jeffrey è apatico e solitario. I compagni di liceo lo escludono ed egli riversa il suo interesse sul sezionare animali morti incoraggiato dal padre che vede in quell’interesse una certa propensione all’attività scientifica.
A sedici anni scopre di essere gay ma il contesto sociale bigotto di quegli anni non gli permette di ammetterlo con serenità.
Il Dahmer adolescente, privo di motivazioni, alienato e socialmente incapace non è poi molto distante dal Kurt Cobain adolescente ritratto nel documentario Kurt Cobain: Montage of Heck.
Nel 1977 Lionel e Joyce divorziano, Lionel va a vivere in un motel con la sua nuova compagna e Joyce all’insaputa dell’ex marito va via da casa portando con sé David e lasciando da solo, di fatto abbandonando, il diciottenne Jeffrey.
Jeffrey Dahmer, il mostro di Milwaukee
Rimasto solo Jeffrey comincia a fare un grande abuso di alcol ed è in questo contesto di solitudine ed alienazione che commette il primo omicidio è Steve Hicks, un giovane autostoppista che Dahmer invita a casa sua per bere qualcosa.
Dopo qualche birra, lo colpisce con un manubrio da palestra e lo finisce soffocandolo. Si masturba sul corpo senza vita e poi lo smembra.
L’omicidio sembra isolato, su pressione di suo padre, Jeff si arruola nell’esercito ma dopo due anni verrà congedato a causa dell’alcolismo.
Va a vivere con sua nonna, riesce a trovare qualche lavoretto e placa i suoi oscuri istinti sezionando animali morti. Ma nove anni dopo il primo delitto, ne commette un secondo.
Per Jeffrey Dahmer inizia la definitiva discesa agli inferi. Le vittime sono ragazzi di colore o asiatici che incontra nei locali gay della città.
I rumori molesti a tarda notte e un odore tremendo di putrefazione proveniente dalla cantina convincono sua nonna ad allontanarlo. Jeff si trasferisce nell’appartamento 213 della 924 North 25th Street, in quella che sarà definita “la casa degli orrori”.
Qui arriva ad uccidere sempre più frequentemente, in poco più di un anno le vittime salgono a dodici.
Il modus operandi è lo stesso, le vittime vengono narcotizzate e strangolate, ad alcuni Dahmer buca il cranio con un trapano nel tentativo di annullarne la personalità e tenerli sempre con sé, come zombie.
La sera del 22 luglio 1991 quella che sarebbe stata la diciottesima vittima, Tracy Edwards, riesce a scappare dalla casa di Jeffrey e a condurre due agenti nell’appartamento.
Il cannibale di Milwaukee ha finito la sua corsa ma una domanda è d’obbligo: poteva essere fermato prima?
Le gravissime colpe della polizia
Più volte i vicini di Jeffrey Dahmer segnalarono alla polizia strani rumori, urla e un odore insopportabile provenire dal suo appartamento. Ma l’America degli anni ’90 era razzista, bigotta e classista per cui “i bianchi sono rispettabili, i neri no”.
Dunque nessuno mette in dubbio le pacate affermazioni di un ragazzo bianco, di bell’aspetto, dal modo di fare pacato ed educato.
E nessuno indaga più di tanto su tutti quei ragazzi scomparsi, in fondo sono neri o immigrati asiatici gay:
“si saranno allontanati volontariamente da casa per condurre la loro vita promiscua”.
La stessa morte di Jeffrey Dahmer è da imputare al lassismo o peggio ancora al modo non ufficiale di agire della polizia penitenziaria che si sarebbe arrogata il diritto di cambiare la sua pena in condanna a morte.
Il 28 novembre del 1994 Jeff e Jesse Anderson pulivano la palestra del carcere (una palestra in carcere con tanto di manubri e bilancieri…l’America è strana forte eh!). A loro fu aggiunto Christopher Scarver, uno schizofrenico pluriomicida alto quasi due metri.
Gli agenti che avrebbero dovuto sorvegliare i tre li lasciarono soli. Scarver uccise entrambi.
Ma il caso più scandaloso fu quello di Konerak Sinthasomphone, un ragazzino minorenne che drogato e ferito riuscì a scappare e a chiedere aiuto a due donne di colore che chiamarono la polizia.
Jeffrey persuase gli agenti che Konerak era il suo compagno diciannovenne, che aveva problemi con l’alcol e che se ne sarebbe preso cura come sempre.
Il ragazzo privo di coscienza perché drogato fu riconsegnato al serial killer che lo uccise, violentò il suo cadavere e mangiò parti del suo corpo.
E questo è solo il caso più eclatante. Ci furono tante altre grosse manchevolezze da parte della polizia locale. Come è vero, dunque, che non possono esserci giustificazioni per le azioni di Jeffrey Dahmer; parimenti non possono esserci giustificazioni per la grettezza, la superficialità ed il razzismo delle forze dell’ordine e della società americana!
Una serie di strane coincidenze
La prima strana coincidenza collega il primo omicidio di Dahmer al modo in cui egli stesso ha trovato la morte: Jeff uccise Steven Hicks con un manubrio da palestra, nello stesso identico modo Scarver colpì più volte Jeffry che morì durante il trasporto in ospedale.
Ma altre due strane coincidenze “uniscono” invece, Jeffrey Dahmer a John Wayne Gacy, ben più efferato omicida seriale colpevole di aver ucciso dopo indicibili violenze almeno trentatrè tra ragazzi e bambini in un periodo di sei anni, dal 1972 al 1978, quando fu arrestato.
Nello stesso anno, Dahmer commetteva il suo primo omicidio.
Ma l’evento più significativo dal sapore quasi soprannaturale è che il 10 marzo 1994, mentre veniva eseguita la condanna a morte su John Gacy, Jeffrey Dahmer riceveva il battesimo cristiano. E mentre tutto ciò accadeva ci fu un’eclissi totale di sole.
Una premessa è d’obbligo: con un serial killer nessuno dovrebbe mai sentirsi in sintonia. Tuttavia non posso non notare il significato mistico dell’eclissi in quel preciso frangente.
John Gacy era l’incarnazione del male, un predatore sessuale che amava far soffrire le sue vittime. Un sadico che non si è mai pentito di ciò che ha commesso al punto che le sue ultime parole prima di ricevere l’iniezione letale furono: “baciatemi il culo…”.
In una sorta di strana continuità lo stesso anno in cui questo demonio fu fermato, un altro ne sorgeva: Jeffrey uccise per la prima volta.
In tutte le culture, l’eclissi solare riveste un profondo significato spirituale. La luce viene offuscata dalle tenebre, ma poi torna a risplendere, più forte di prima.
Gacy non ha mai cercato di uscire dalle tenebre, nemmeno a pochi minuti dalla sua morte. Mi piace pensare, invece, che Jeffrey Dahmer convertendosi al cristianesimo abbia trovato in Gesù Cristo quell’amore che la famiglia e la società gli aveva negato. E penso che l’eclissi avvenuto proprio nel momento del battesimo sia davvero stato un segno “superiore”.
In fondo, l’amore è forse la più grande medicina e la sua mancanza, può generare dei mostri in carne ed ossa.
Vostro Onore, ora è finita. Qui non si è mai trattato di cercare di essere liberato. Non ho voluto mai la libertà. Sinceramente, volevo la pena capitale per me stesso. Qui si è trattato di dire al mondo che ho fatto quello che ho fatto, ma non per ragioni di odio.
Non ho odiato nessuno.
Sapevo di essere malato, o malvagio o entrambe le cose. Ora credo di essere stato malato. I dottori mi hanno parlato della mia malattia, e ora mi sento in pace. So quanto male ho causato…
Grazie a Dio non potrò più fare del male. Credo che solo il Signore Gesù Cristo possa salvarmi dai miei peccati…
Non chiedo attenuanti. Sono pronto per la vostra sentenza, grazie Vostro Onore.
(Dichiarazione letta in aula da Dahmer al giudice responsabile del processo)
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