Anche il paroliere e produttore discografico Mogol è stato ospite del Giffoni53 e ha accolto i ragazzi della sezione Impact nella sala Blu con queste parole:
Possiamo essere miserabili o nobili, siamo sempre noi a deciderlo.
Se riusciamo ad essere persone migliori, a prenderci cura dell’altro, ad aiutare chi ha bisogno, a rinunciare alla sopraffazione, non avremo neanche più paura della morte, perché una luce si accenderà dentro di noi.
Mogol, in tanti anni di brillante carriera, ha usato la sua sensibilità per dare voce alle emozioni e per incantare generazioni trasversali, con una capacità rara di penetrare nel mondo interiore del prossimo:
Sono contento di parlare della vita con una platea di giovani. Sono cattolico e da tempo ho compreso che l’unico obiettivo delle nostre vite deve essere quello di tendere la mano agli altri, immedesimandoci in chi soffre. Niente è più importante della propria condotta, anche perché un domani porteremo con noi e lasceremo a chi resta solo la ricchezza interiore che siamo riusciti a costruire e a conquistare.
La morte non è la fine. Semplicemente entriamo in un’altra dimensione ed acquistiamo nuovi poteri. Per esempio possiamo entrare nei sogni e nei pensieri delle persone che ci hanno voluto del bene.
Mogol e L’arcobaleno
Il compositore ha poi voluto raccontare com’è nata la sua bellissima L’arcobaleno:
Dopo la scomparsa di Lucio Battisti, una medium che lavorava a Barcellona come docente d’italiano telefonò alla mia segretaria Daniela dicendo di aver avuto un incontro con Battisti. Lui l’aveva pregata di contattarmi perché scrivessi le parole di una sua canzone, dedicata a me, riguardante l’arcobaleno.
Lì per lì, ovviamente, rifiutai perché come dicevo sono cattolico e sono molto scettico nei confronti dei medium. Una settimana dopo quella chiamata, sulla rivista Firma del Diner’s Club uscì una storia di copertina in cui il direttore Giulio Caporaso raccontava di aver sognato Battisti che gli aveva parlato di un pezzo sull’arcobaleno. Rimasi profondamente turbato e ne parlai con un sacerdote, chiedendogli se fosse una coincidenza.
Lui mi disse che era una “dioincidenza”.
Mogol incontrò e raccontò la cosa ad Adriano Celentano e a Gianni Bella. Quest’ultimo tirò fuori un’audiocassetta dicendo di avere con sé una melodia appena composta. Il dopo è facilmente immaginabile. Mogol scrive come un fiume in piena, lasciandosi dentro un unico dubbio in merito al verso:
“L’arcobaleno è il mio messaggio d’amore può darsi un giorno ti riesca a toccare” perché l’arcobaleno non si può toccare”. Ma una settimana dopo, mentre era in autostrada con il figlio, un enorme arcobaleno abbagliante è il segno che il testo è quello giusto.
L’arcobaleno ritorna: di arcobaleni che si manifestano a catena, fino all’imbrunire è costellato il ricordo del giorno che precede la morte di Mango, “uno dei più grandi, un artista internazionale”.
Mogol è stato poi premiato da Alfonsina Novellino, presidente dell’associazione Aura, l’anima sociale di Giffoni, per la sensibilità, la passione e l’impegno profuse sempre nel cercare le parole più adatte per raccontare la vita in tutte le sue sfaccettature.
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