La Vergine dei sette pugnali è un racconto di Vernon Lee del 1889. Questa volta l’autrice cambia totalmente la sua locazione e ci porta in Spagna, nello specifico a Granada in cui loca la chiesa dedicata alla Nostra Signora dei Sette Pugnali.
Seppur possa sembrare apparentemente diversa dalle precedenti per formula, anche in questa storia tornano alla luce le caratteristiche tipiche dell scrittura della Lee che andremo and analizzare di seguito.
La vergine dei sette pugnali – Trama
Don Juan Gusman del Pulgar, conte di Miramor, non è certo celebre per il suo buon cuore. Croce per il cuore di giovani fanciulle, ma anche di tutti coloro che osano contraddirlo, ha un’unica devozione: la vergine dei sette pugnali.
Questa iconografia statuaria della Madonna con il cuore trafitto da sette lame si trova in una chiesa della città di Granada ed è l’unica figura per cui l’uomo nutra rispetto. Egli è convinto che questa sua devozione lo salverà da ogni peccato da lui commesso nel corso della sua vita. E del Pulgar è uno che di peccati ne ha commessi e ne commette non pochi, poiché egli nulla si risparmia dei piaceri della vita e altrettanto non disdegna la violenza.
E l’ultima sua ossessione è quella di possedere la figlia di re Yahya che riposa in un sonno di ben quattrocento anni.
Recensione
Il cambio di location può forse un po’ disorientare, ma più che altro perché la raccolta ci aveva abituati a rimanere sul suolo italico, ma tutto sommato, riaffacciandoci alla storia personale di Vernon Lee, la cosa non ci sorprende più di tanto.
In ogni caso il racconto presenta diversi punti di interesse che possono essere presi in esame.
Iconografia della Vergine dei sette pugnali
La figura della Vergine si irà certamente al culto delle Madonna Addolorata, molto forte in Spagna dove era stato portato dai Serviti. e dal 1506 era diventato molto popolare. Le statue spagnole si caratterizzano quasi sempre per il vestito molto sfarzoso, spesso con i colori del lutto nella Settimana Santa, col cuore in evidenza trafitto da spade e con sopra un fuoco. Solitamente avevano aspetto piacente, popolare, più simbolico che realistico. I culti più celebri corrispondono alle regioni dell’Andalusia a Siviglia e Loja (Granada); della Castiglia-La Mancia a Ciudad Real, Hellin (Albacete), della Castiglia e León a León; della Murcia a Cartagena e Lorca.
Tuttavia, possiamo riscontrare alcune similitudini con quelle presenti in diverse chiese di città italiane come Siena, Firenze o Cuneo in cui è esposta proprio la figura di una Madonna trafitta da sette lame. Cosa che ci mostra, come alcune culture possano avere elementi decisamente simili. L’origine è chiaramente legata allo Stabat Mater celebre preghiera che descrive il dolore di Maria nell’assistere alla crocifissione del suo unico figlio, per salvare l’umanità dai peccati. Sebbene in alcune raffigurazioni la spada sia unica, è probabile che il numero sette presente in altri simboleggi proprio i sette peccati capitali, in un cerchio che si chiude perfettamente.
Non disturbare il sonno dei morti
Dopo aver consumato la passione di molte donne mortali, fra cui anche una suora, Don Juan desidera la figlia di re Yahya. La fanciulla, che riposa in un sepolcro da più di quattrocento anni, si dice essere molto bella, la più bella mai esistita. E poco importa dunque se ella appartiene ormai al mondo dei morti, del Pulgar è disposto a ricorrere perfino alla negromanzia per risvegliarla, grazie anche al sussidio dell’ebreo Baruch. Il poveretto, in realtà, cerca più volte dio dissuadere il suo signore perché quelle pratiche possono risvegliare demoni e diavoli con cui sarebbe meglio non avere a che fare. Ma tutto risulta inutile.
La discesa nell’oltretomba è ricca di atmosfere che fanno presagire che il consiglio dell’ebreo non sia poi così poco saggio. Quelle voci del resto arrivano proprio dal torbido passato di Don Juan, ma ancora è la sua ossessione per quel tesoro celato che lo spinge a proseguire ignorando ogni avvertimento catapultandosi direttamente nelle braccia del suo destino.
Tornando al concetto di negromanzia, e in generale di magia, assume qui delle sfumature che ricordano l’atavico e il demonico e vengono stranamente collegate a culture di stampo non europeo, sebbene le stesse connotazioni non vengano attribuite ai personaggi. L’ebreo Baruch, nonostante conosca quei riti e sappia come condurli a termine, non ben propenso ad eseguirlo al contrario di Don Juan il che mostra chiaramente la differenza fra i due uomini.
Per quanto invece riguarda i morti appaiono quasi sereni nella loro condizione, quasi il loro fosse solo un lungo sonno a differenza poi dello spettro protagonista che non si identifica subito nella sua realtà e ne resta poi terrorizzato comprendendo quelle che sono le conseguenze delle sue azioni. È forse quest’uno dei momento più intensi dell’intera trama perché mette alla luce non solo la confusione di quello stato, ma anche il terrore derivato dal trovarsi faccia a faccia con la propria anima e soprattutto la disperazione nel cercare una via di salvezza. E ancora una volta Vernon Lee si mostra una maestra nel portare alla luce un profondo bagaglio di emozioni.
Il tempo della storia e la storia del tempo
Vernon Lee conferma la sua abilità nel miscelare fatti e personaggi reali con quelli da lei inventati. Nonostante qualche anacronismo cita esplicitamente Filippo IV di Spagna sostituendolo poi, in un’altra versione con Filippo V, il che ci consente di avere dei riferimenti temporali, ma anche socio culturali sulla realtà in cui si svolgono i fatti.
Lo Stesso Don Juan, personaggio fittizio, vanta una parentela con Hernán Pérez del Pulgar che invece è davvero esistito e visse fra il 1451 e il 1531. Fu cavaliere del regno e sono celebri la sua audacia e coraggio durante la guerra di conquista del Regno di Granada.
Nel 1482, assediato insieme al futuro duca di Cadice ad Alhama di Granada dalle truppe musulmane, fu protagonista di un’ardita operazione che gli permise di sfuggire all’accerchiamento e raggiungere Antequera per chiedere aiuto, evitando la perdita di Alhama, strategicamente situata nel cuore dell’antico Regno Nazarí. Nel 1486, i Re Cattolici lo nominarono, tramite un Reale Decreto, capitano generale di Alhama.
Poco dopo conquistò il castello di Salar, strategicamente posizionato lungo la strada tra Loja e Granada, con una forza di soli ottanta uomini. Rilevante è un episodio del 1490, quando assediato dalle truppe di Boabdil a Salobreña, e avendo esaurite le riserve d’acqua, rifiutò comunque di accettare l’ordine di resa del re musulmano e siglò questa decisione gettando l’ultimo giogo d’acqua dall’alto delle mura. Vinse la battaglia successiva e spezzò l’assedio granadino.
Lo stesso anno, accompagnato da soli quindici cavalieri e dal suo scudiero Pedro, si infiltrò di notte nella città di Granada, vicino alla torre di Bib-Altaubin, riuscendo a percorrere la città senza essere scoperto fino a raggiungere la moschea principale. Anche se non riuscì ad appiccare il fuoco, come inizialmente aveva previsto, appese sopra la porta principale un cartello, scritto da Pulgar stesso, che recitava “Ave Maria” e poi la frase “Siate testimoni della presa di possesso che ho fatto a nome dei re e dell’impegno che ho assunto di venire a liberare la Vergine Maria, che è rimasta prigioniera tra gli infedeli”.
Questo ultimo episodio crea forse un parallelismo con il suo fittizio discendente che, allo stesso modo, era particolarmente fedele alla Vergine Maria e dimostra ancora una volta un profondo studio da parte dell’autrice nello scegliere i suoi riferimenti.
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