Con una personalità cinematogragica d’impatto come Luca Guadagnino alla guida, We Are Who We Are è una serie che nasce con aspettative enormi e segue un filone di storie sull’esperienza dell’adolescenza che sembra piacere moltissimo al pubblico contemporaneo.
We Are Who We Are – Trama
Ambientata in una base militare americana su suolo Italiano e con protagonisti due ragazzi statunitensi, We Are Who We Are esplora i temi dell’amicizia, dei primi amori, dell’identità, e cerca di immergere il pubblico nelle caotiche euforie e angosce dell’essere un adolescente – una storia che potrebbe accadere ovunque nel mondo, ma che in questo caso si dispiega in un piccolo angolo di America in Italia.
Recensione
Le aspettative di un nome
Ancor più che il nome di Luca Guadagnino, uno dei motivi per l’impaziente attesa di We Are Who We Are è uno dei film più discussi degli ultimi tempi dallo stesso autore: Call Me By Your Name.
È un po’ ingiusto cominciare una recensione di We Are Who We Are citando un lavoro di successo che lo precede, ma è anche comprensibile che una gran fetta del pubblico che ha dato una chance a We Are Who We Are l’abbia fatto solo e soltanto per l’esistenza di Call Me By Your Name. Diventa quindi impossibile separare, almeno inizialmente, una critica del primo dall’esistenza del secondo.
Entrambi i titoli di Guadagnino cercano di approfondire il tema dell’identità legato ad alcuni degli anni più formativi nella vita di una persona. Ma se inizialmente le similitudini sembrano inevitabili, è chiaro molto presto che in We Are Who We Are ci sia una forte estremizzazione degli argomenti portanti della storia.
Il fattore stilistico
Ci sono due cose di We Are Who We Are che diventano immediatamente difficili da approcciare per il pubblico: lo stile cinematografico e il linguaggio metaforico.
We Are Who We Are è una serie lenta che cerca di scrivere poesie con le sue riprese dell’ambiente che circonda la storia e non sempre fa un lavoro all’altezza di quello che si prospetta. C’è sicuramente utilità nel rallentare una narrazione che affronta i temi delicati contenuti in questa serie, ma è molto più facile richiedere una pazienza tale quando si tratta di dover prestare attenzione per due ore di film e non tanto quando devi invogliare lo spettatore a risintonizzarsi per otto settimane e non sono sicura che la maggior parte del pubblico penserà che ne sia valsa la pena.
Proprio come la lentezza della storia richiede uno sforzo di pazienza, infatti, anche il modo in cui è raccontata può risultare poco appetibile. We Are Who We Are sembra non voler mai dire nulla apertamente, lascia che i suoi personaggi si capiscano in modi che sono a volte inaccessibili per chi guarda dall’esterno e richiede che lo spettatore arrivi a conclusioni proprie per la maggior parte della storia.
Non è sempre necessario esprimere apertamente una posizione, e anzi c’è forse una grossa mancanza di media che ti richiedono di pensare attivamente a quello che stai guardando, ma non è nemmeno esagerato dire che We Are Who We Are si perde un po’ nell’esteticismo delle sue ambientazioni e tende a dimenticare la sostanza.
La vitalità adolescenziale
La sottigliezza degli argomenti, però, non toglie che ci siano fortissime emozioni nella serie.
Fraser (interpretato da Jack Dylan Grazer) è forse l’incarnazione più forte del disagio esistenziale dell’adolescenza. Un escluso in tutti i sensi – l’ultimo arrivato, parte di una famiglia che in una base militare dai determinati allineamenti politici non è vista proprio di buon occhio – sembra essere a disagio persino con la sua stessa pelle ed è proprio lui ad accendere la scintilla che porta altri dei protagonisti, e in particolare Caitlin (interpretat* da Jordan Kristine Seamón) a mettere in dubbio le verità delle proprie vite.
La serie fa un lavoro eccellente nel ricordarci che gli adolescenti provano sentimenti molto adulti, a volte anche più adulti degli adulti stessi, ed è una verità che è sempre stata valida e che ogni teenager che si è trovato ad affrontare la battaglia contro l’inabilità degli adulti che l* circondano di prendere i suoi sentimenti sul serio conosce benissimo e spera di ricordare quando cresce.
L’ambientazione, esteticamente e narrativamente
Come già menzionato nella trama della serie, We Are Who We Are ha come ambientazione una base militare americana su suolo italiano.
Esteticamente, ciò significa che c’è la possibilità per la serie di districarsi tra paesaggi che chi guarda dall’Italia troverà sicuramente familiari e nostalgici. Sotto questo punto di vista, la serie fa un lavoro robusto di integrare l’italianità dell’atmosfera nella storia, anche grazie ai suoi personaggi marginali e di sfondo.
Allo stesso tempo, il fatto che si tratti di una base militare americana dà occasione alla storia di rappresentare ancora più fortemente la difficoltà di appartenere che si prova spesso nell’adolescenza e la prepotenza di alcune delle aspettative dei personaggi e dell’americanità stessa.
L’ambientazione sembra contemporaneamente essere una critica dell’imperialismo americano che ruba la gioventù dei ragazzi con determinate aspettative, e un modo per rappresentare l’impossibilità e il rifiuto della maggior parte dei personaggi di integrarsi nel paese intorno a loro.
Di sicuro c’è un vantaggio e uno specifico tipo di disagio nel rappresentare dei personaggi che non riescono ad appartenere alla loro ambientazione – in più di un modo – ma forse è anche il momento di raccontare una storia italiana. Le profondità, l’enigma, il malessere di We Are Who We Are li abbiamo anche noi. I ragazzini LGBT e gli adulti taliani ne hanno a bizeffe di questo disagio, non c’è bisogno di cercarlo altrove.
Separare questi sentimenti, questo scomforto interno, dall’italianità tende a separarli da noi, a renderli non nostri. In We Are Who We Are finiamo per vederli con la lente del ridicolo. Ne sono stata colpevole anche io, perchè l’americanità dei personaggi ti fa guardare accanto a te a chiunque stia condividendo l’esperienza di questa serie e buttare gli occhi al cielo e dire, “Madonna questi americani però.”
Ma noi queste storie le abbiamo, le abbiamo in una maniera intrinsecamente italiana, e non abbiamo bisogno di questa lente, di questo punto di vista. C’è, io credo, una mancanza enorme nel cinema italiano di farci appartenere queste storie.
I temi
Sembra un po’ tardi, dopo tutto quello che è stato già detto, di parlare adesso dei temi della serie. Tuttavia, nonostante sia chiaro fin da subito che gli argomenti siano il vero succo di We Are Who We Are al di là dell’estetica e dell’ambientazione, senza il preambolo di come vengono trattati sarebbe difficile descrivere il modo in cui si annodano al resto della narrazione.
Gli argomenti più prominenti della serie sono sicuramente quelli dell’identità – in particolare l’identità di genere e la sessualità -, ma c’è una grossa fetta della storia che piuttosto che parlare direttamente di come gli adolescenti sviluppano e percepiscono la propria identità, si concentra su come le persone esterne si aspettano che essa affiori.
We Are Who We Are segue un’altra serie concentrata sull’adolescenza che tratta alcuni degli stessi argomenti in maniera molto simile: Euphoria. Guardando entrambe da adulta, diventa impossibile non chiedersi se gli adolescenti di oggi siano davvero così auto-dannosi.
Ricordo perfettamente l’odio che ho provato per la mia fase adolescenziale e che riconosco a volte nelle mie cugine adolescenti, ma c’è anche una gioia, una forza di sentimenti positivi che fa da contrappeso a tutta la parte negativa dell’adolescenza, e serie TV come We Are Who We Are ed Euphoria sembrano per lo più mancare di questa gioia in molte delle loro storie.
È davvero essenziale soffrire per chi si è? È così e soltanto così che adesso gli adolescenti sembrano percepire la loro esistenza? E se sì, qual è la colpa di noi adulti in questo?
La contrapposizione di adulti e ragazzi
We Are Who We Are sembra dire che i sentimenti che mostra sono troppo forti per gli adolescenti della serie, che rimangono però comunque gli unici ad essere in grado di sperimentarli, mentre gli adulti appaiono ciechi di fronte a questo caos interno e incapaci di empatizzare con esso.
Le scene tra gli adulti della serie forniscono una visione utile della cultura, dell’intersezione tra il razzismo e la queerfobia, tra il desiderio e le aspettative; mentre gli adolescenti ci dimostrano una sperimentazione dell’essere che non è spesso loro consentita nella vita reale a causa di come la società percepisce cosa significa “proteggerli”.
Raramente i genitori della serie riescono a dimostrare empatia per i propri figli in un modo che gioverebbe ai suddetti figli, e diventa allo stesso tempo un modo per lo spettatore di volere che gli adulti della serie siano migliori e, si spera, di riconoscere la propria tendenza a fare esattamente la stessa cosa con i ragazzini che lo circondano.
È facile provare antipatia per molti degli adolescenti di We Are Who We Are, ma io non sono riuscita ad andare spesso oltre un’immensa tristezza e un’enorme protettività nei confronti di quelli che sono effettivamente ancora bambini la cui gioventù viene sacrificata e inseguita in ogni episodio.
La recitazione
Nel complesso il cast fa un buon lavoro recitativo nel dimostrare le emozioni che la serie richiede. Jack Dylan Grazer, in particolare, è eccellente nel suo ruolo di Fraser nonostante sia molto difficile in alcuni momenti amare il personaggio. Dylan Grazer dà a Fraser momenti di sincera genuinità mescolata a una insopportabilità intrinseca del personaggio.
Anche Jordan Kristine Seamón nel ruolo di Caitlin porta verosimiglianza alla performance, ma ha in parte un lavoro più complicato che a volte risulta in una confusione da parte dello spettatore. Non è necessariamente una dote negativa, piuttosto un ulteriore livello di complicatezza del personaggio che può però risultare visivamente vaga e che probabilmente è più colpa di Guadagnino stesso che della giovane attrice.
Pensieri finali
Anche dopo averla vista tutta, non sono in grado di affermare se We Are Who We Are mi è piaciuta o meno.
Ci sono parti della serie che mi hanno resa molto felice, che mi hanno riportato ricordi positivi dell’essere adolescente, ma ci sono delle parti che non mi sono piaciute e che non riesco interamente ad articolare ma che comunque sono importanti nella considerazione della serie nel complesso.
La verità è che We Are Who We Are non è una di quelle serie TV per cui puoi dire con certezza “Questo è quello che sta cercando di raccontare e di esperimere.” Questo fa sì che l’unico mezzo con cui si può cercare di capirla sono le proprie opinioni, i modi in cui ha comunicato con le esperienze indivuali di ciascuno spettatore. Ciò significa che anche le persone che pensano che la serie non dica proprio nulla non hanno torto.
Mi è impossibile raccomandarla o non raccomandarla a causa dello sforzo attivo che ho dovuto fare anch’io nel risintonizzarmi ogni settimana finchè non finisse.
Per me questa serie ha riconfermato molti dei pensieri che già avevo sull’adolescenza da persona adulta che può finalmente guardarla dall’esterno: essere adolescente è un incubo. Ma è anche delicato, ed è un sogno, ma soprattutto è fottutamente disorientante.
La serie mi ha fatto pensare molto di più a cosa ha significato per me personalmente e come spero sia per i ragazzini a cui sono vicina essere adolescente, piuttosto che a cosa la storia stesse effettivamente cercando di raccontare o comunicare.
La risposta nella maggior parte dei casi è stata: non lo so. Davvero, non lo so.
Mi sono chiesta moltissimo, soprattutto nei momenti finali, se We Are Who We Are fosse in realtà una storia d’amore e forse lo è, ma forse no.
Vedere questa serie è una cosa che dovete scegliere da soli. Se vi incuriosisce, se volete guardarla solo perchè è di Guadagnino, se avete sentito troppe opinioni negative e invece volete starci più lontano che potete, avete ragione. In ogni caso avete ragione, ma l’unico suggerimento che mi sento di dare è questo: fatevene una vostra opinione, positiva o negativa che sia.
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