È costato ben 10 lunghi anni di lavorazione il Pinocchio di Guillermo Del Toro che riporta sul piccolo schermo degli abbonati Netflix quella che è la favola italiana per eccellenza.
E Del Toro prende tutta l’italianità del progetto e la incastra in una storia che vuole essere nuova, diversa e non vuole proporre niente di già visto, ma piuttosto portare l’intera favola in quello che è il suo mondo e che caratterizza perfettamente il suo stile unico.
Pinocchio di Guillermo Del Toro – Trama
Il regista premio Oscar Guillermo del Toro e il premiato genio della stop-motion Mark Gustafson reinterpretano l’iconica storia di Carlo Collodi facendo intraprendere al leggendario burattino di legno una serie di avventure bizzarre e fantastiche che spaziano tra vari mondi e rivelano il potere vitale dell’amore.
Recensione
La grande premessa di questa produzione è che Del Toro non ha mai avuto intenzione di riproporre la storia classica del Pinocchio che abbiamo visto trita e ritrita in più versioni da quando questa favola è stata scritta e da quando il cinema stesso ha preso vita.
Fatta questa premessa non serve sottolineare quanto Del Toro poi inserisca all’interno dell’opera la sua visione personale e tutta quella gamma di temi che a lui sono cari.
C’era una volta… Un pezzo di legno? No, una pigna.
Centro portante dell’intera narrativa, la pigna perfetta segue il corso dell’intera vicenda passando dalle mani del piccolo Carlo (il figlio naturale di Geppetto), dando origine al tronco dal quale nascerà poi Pinocchio, fino a ricomparire al finale della storia chiudendo un ciclo vero e proprio.
Il motivo della ghianda poi verrà ripreso più volte nelle immagini del film. La struttura dello stesso Pinocchio la richiama, alcuni paesaggi tortuosi così come alcune ambientazioni. Il legno grezzo, la manualità sono un tema portante. Del resto non a caso Del toro ha deciso di girare il film con la tecnica della stop-motion (che ha portato la produzione a un lavoro di ben dieci anni) che però è perfetta per enfatizzare ancora di più la trama stessa.
Il bambino, il burattino e l’altro
Il film si apre con una scena familiare che vede Geppetto con suo figlio Carlo (chiaramente un omaggio all’autore) atto a costruire un crocifisso in legno per la chiesa cittadina. Tuttavia, proprio mentre i due stanno per rientrare, i bombardamenti colpiscono la chiesa strappando la vita al bambino.
Geppetto cade nella disperazione più totale. Non ha un corpo da seppellire se non quella ghianda che lui e Carlo avevano scelto insieme. Il suo dolore è immenso, tanto che tutto il mondo intorno a lui sembra essere parte di una nuova dimensione. Va avanti, corre, mentre lui rimane nel suo angolo senza la forza di proseguire. Smette di lavorare, inizia a bere.
Finché proprio da quell’albero nato da quella pigna non deciderà di costruirsi un nuovo bambino.
La scena, carica di fulmini e saette, di una notte buia e tempestosa è un chiaro richiamo al Frankenstein. Del resto lo scopo di Geppetto non è diverso da quello del dottore, portare in vita qualcuno che non lo è più.
Ma Pinocchio non è Carlo e presto sentirà il peso di questa differenza. Pinocchio non è nemmeno un bambino come tutti gli altri. Resta e resterà sempre un burattino, un pezzo di legno che ha preso vita. Un mostro per la società così come il Frankenstein che abbiamo citato poc’anzi.
Per contrapposizione diventa importante sottolineare la rappresentazione del crocifisso anche quello di legno e anche quello nato dalle mani di Geppetto che però è ammirato e idolatrato dagli abitanti del villaggio a differenza di Pinocchio.
Il burattino così si trova nel mezzo fra due realtà, il bambino che non può essere e il legno che non è più senza sapere a quale mondo appartiene veramente né chi egli sia. Il suo viaggio sarà proprio tentare di scoprirlo.
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