Oggi abbiamo invitato sul nostro portale Fabrizio Corselli. Autore di Bjorn – Saga dei Regni del Nord che abbiamo recensito sul nostro portale qualche tempo fa.
Avere qui un autore particolare come Fabrizio è per noi un grande onore e la grande occasione di entrare nel suo mondo.
Benvenuto Fabrizio. Sono veramente contenta di averti qui con noi, spero che per te sia lo stesso. Vogliamo cominciare raccontando qualcosa di te ai nostri lettori?
Ciao tutti. Anche io sono davvero contento di trovarmi qui con voi.
Allora. Sono nato a Palermo, classe 73. Lavoro come Editor e Consulente letterario presso diverse case editrici. Dirigo la collana “Hanami” sulla poesia haiku presso Edizioni delle Sera; ma posso ben dire che l’attività che più mi rappresenta è quella di Tutor Formativo per l’Epica orale in ambito lavorativo e turistico: in sostanza, formo e creo giovani Cantori che andranno poi a lavorare insieme alle guide turistiche o con diversi Enti.
Tu sei il fondatore dei Cantori della Spada. Vuoi raccontarci chi sono e come nascono?

“Valdmer the Viking. A romance of the eleventh century by sea and land … With illustrations, etc” by Nisbet, HumeBritish Library
Il Canto della Spada è un’arte di narrazione orale che si esprime attraverso due dimensioni, o meglio tre: quella del verso, mediante l’Improvvisazione, tipico del Cantastorie, quella della spada, nella fattispecie una spada di legno, detta “Livrea”, proprio a definire la lievità del “colpo” e, non ultima, la danza antica. L’abilità del suddetto Cantore è di far corrispondere il movimento, a dir poco tersicoreo, dell’arma” con la parte orale in un unicum d’eccezione.
La Livrea non è un semplice elemento di scena ma è essa stessa protagonista della narrazione: aiuta a mantenere la concentrazione, stabilisce la cadenza e il ritmo del narrato, struttura l’armonia della scena, rende vivide le scene di combattimento e, poi, si trasforma in altro; può diventare in un determinato momento l’artiglio di un drago, la testa di un ariete di bronzo che assedia le porte di un castello o finanche l’ala di un corvo.
Quest’arte è nata da un lungo studio dell’Epica e della tradizione orale antica, ma senza la presenza del Cunto, tradizione della mia terra, non avrebbe mai avuto inizio. Ho frequentato per diverso tempo anche la bottega del mastro puparo e cuntista Gaetano Lo Monaco Celano, dal quale ho imparato molto. La mia spada da canto, il cui nome è Pietraluna, è stata costruita proprio da lui. Poi, partendo da queste basi, il Canto della Spada si è evoluta divenendo ciò che è oggi, con un impiego di “arma” molto forte e molto più denso della tradizione del passato.
Hai scelto per le tue opere uno stile molto particolare, quello della poesia epica. Puoi raccontarci il motivo di questa scelta?
Come dico sempre, io non ho scelto questo stile, ma è lui che ha scelto me. Peraltro, essendo nato in una terra che è densa di cultura, di tradizioni e di mito era inevitabile. Il luogo influenza moltissimo le scelte di un artista. Del resto, il mio background culturale è molto atipico e lo sono anche le preferenze personali. Il mio poeta, modello d’arte, è Pindaro, senza alcun dubbio, soprattutto per l’amore che ho nutrito e che nutro tuttora per le Olimpiadi Antiche. La lirica epinicia, quella dei Canti di Vittoria, è il mio genere poetico più amato. Poi, a seguire, abbiamo Alceo, Tirteo, Omero, Virgilio per giungere alla poesia norrena con l’Edda e ancora ad altri poemi come il Beowulf e il Kalevala. Insomma, è chiaro quale sia il mio sostrato poetico.
Hai mai il timore che essendo uno stile di livello molto alto possa non venire compreso?
Non è un timore, è una certezza. È così. Comunque il problema non è l’esser “alto”. In Italia ci sono troppi poeti e matematici del verso; la maggior parte di loro sono improvvisati e quelli che si salvano quasi sempre sono assai snob e classisti nei confronti di ciò che non faccia parte della visione intimistica, lirica del verso. Il problema è la troppa rigidità; o meglio, non si ha quella flessibilità per dire “ok, esiste anche un altro tipo di poetica al di fuori di quel canone”; pertanto se non si parla di autobiografismo, della propria città o del fiorellino che in noi suscita un ratto improvviso, allora lo si emargina. In relazione a ciò, molto spesso mi sento dire “i tuoi testi non trasmettono nulla”. Tu che hai letto Bjorn, ti cito per esempio il rapporto di amore fra il protagonista ed Elagraine, e la passione espressa. Dimmi tu se quella parte non trasmette nulla. Io, comunque, sono un Cantore, non un poeta. La differenza è molto profonda. La comprensione poi dipende dalla propria educazione alla lettura di un testo poetico. In Italia sono più i “poeti”, coloro che la scrivono, che i lettori di Poesia. Ciò non va bene. Soprattutto perché non si sviluppa un senso critico.
Il più grande riconoscimento che ho ricevuto è stato quello dello scrittore Nick Jubber, il quale ha inserito la mia attività di recupero della tradizione orale nel suo ultimo libro “Epica continent: Adventures in the great stories of Europe”. Con lui abbiamo passato molto tempo a discutere in un bar di Epica, di Rè Artù e di tradizioni epiche. Lui ha girato tutta l’Europa alla ricerca di tracce ancora presenti dell’Epica, o meglio dell’influenza che essa ha avuto sulla modernità. Un tappa prevedeva la Sicilia.
Ricordo con piacere Drak’kast – Storie di Draghi che lessi diverso tempo fa. Da allora hai fatto molta strada, vuoi raccontarci la tua evoluzione?
Drak’kast è stato pubblicato nel 2011 e rappresenta il primo poema fantasy pubblicato in Italia e oltre, ma già aveva in sé i germi per una nuova poetica dell’immaginario. Da lì in poi ho fatto carriera in campo editoriale e ho evoluto lo studio della Poesia, sempre di più, sempre di più. Ho cominciato a tenere anche corsi e laboratori, soprattutto nelle scuole di Milano. Nel mentre lo stile si evolveva immancabilmente, cercando finanche nuovi approcci al verso. Ho studiato in certe situazioni la grammatica musicale e la sua correlazione con la sintassi poetica. Ne ero ossessionato. La musicalità e l’euritmia sono per me i fondamenti della poesia a carattere epico. Da qui, è nato “Nibelung e il Cigno nero” su una idée fixe del Lago dei Cigni che mi è valsa la collaborazione con Pietro Pignatelli e Sabina Galasso del Teatro alla Scala di Milano, all’interno della Settimo Ballet School. La prefazione è stata curata da Liliana Cosi, con la quale sono in buoni rapporti. In quel periodo stavo anche lavorando ad alcuni saggi e alla creazione di un “viaggio dell’eroe”. Oggi, quel viaggio ha le forme di “Bjorn”.
Anche in Bjorn ho notato lo stile inconfondibile della Poesia dei Draghi.
Diciamo che hanno in comune il genere. Drak’kast segue una propria poetica base a livello teoretico. Esiste proprio un saggio didattico, al quale tengo molto, che getta le basi per una poetica dell’Ilmmaginario, che si avvicina al concetto delle lingue elfiche di Tolkien, solo che io lo sviluppo a livello poetico, essendo il mio obiettivo, e non linguistico; anche perché non ho le competenze su quel fronte. Va bene così. In Drak’kast è stato elaborato un vero e proprio modo di comporre il verso, con tutte le relative tecniche stilistiche ed estetiche sviluppate dagli elfi su un sostrato di natura draconica. La figura del drago diventa così unità mensurale e disciplina la sintassi e la dimensione grafemica del testo poetico. Per esempio, gli elfi impiegano un accorgimento che prende il nome di “Nyrrin” in cui la fisicità del verso segue l’alternarsi delle “creste” e delle “spine dorsali” tipiche di una creatura draconica.
In Bjorn, invece, viene sviluppato il concetto di “cadenza narrativa” e di “diegesi” rispetto a Drak’kast che è, alla fine, un lunghissmo canto, di circa tremila versi. Bjorn è diviso invece in capitoli e assume più il ruolo di un’opera di prosa, pur essendo in versi, e non parlo della terrificante metodica di scrivere in prosa e poi spezzettare a capo, ma di approccio narratologico.
Come è nata l’idea di Bjorn, una saga vichinga?
Più che una saga vichinga, di tipo storico, Bjorn è un’opera di derivazione, trasposta. L’idea è nata dalla volontà di creare un “nostos”, un viaggio dell’eroe, come tema portante. Già avevo tentato con “Promachos e il Tamburo di Guerra”, ma ancora mancava qualcosa. Poi, nel tempo, ho sviluppato anche un’ambientazione in piena regola: “Runechase”. Ecco. Avevo tutti gli strumenti possibili per scrivere un viaggio completo, con tantissimi riferimenti “storici” e geografici. Ho impiegato circa cinque mesi per comporlo. Scrivere opere di questo tipo dà una fortissima emozione. Ti perdi nel processo creativo, è esso stesso un viaggio all’interno dell’Immaginario.
Ammetto che il nome di Bjorn mi ha ricordato il personaggio della serie Vikings. Ti è stata in qualche modo di ispirazione?
Sì, il nome l’ho scelto proprio perché Bjorn è uno dei miei personaggi preferiti di questa serie. Ma si ferma qui. Vikings non mi ha esaltato così tanto quanto lo ha fatto invece The Last Kingdom.
C’è sicuramente un grande studio dietro questo libro. Sicuramente per quanto riguarda tradizioni, miti e dei. Quali sono stati i libri che hai letto? Su quali opere hai studiato la cultura dei miti del nord? E in generale, quali testi consiglieresti a chi voglia conoscere meglio questi argomenti?
Allora. Primo fra tutti, “I Miti nordici” della Isnardi, l’Edda in prosa” di Snorri Sturluson, “Viking Poetry: Poetry of Love and War” di Judith Jesch, e il “Canzoniere Eddico”. Poi consiglierei i vari libri della Iperborea Edizioni sulle diverse Saghe islandesi.
Hai mai immaginato le tue opere messe in scena? Magari in un teatro o in un evento privato, quasi a ricreare l’atmosfera del banchetto in cui vengono narrate.
Sì, tantissimo. Soprattutto dopo aver vissuto l’esperienza di “Nibelung e il Cigno nero”. Pietro Pignatelli ha creato una fantastica mise en espace su quest’opera con le ragazze della Settimo Ballet School, è stato straordinario. Mi sono emozionato tantissimo. Vederlo messo in scena ha tutto un altro gusto. Le musiche di Sollima erano perfettamente aderenti.
Altre situazioni similari sono state le “Cene col Bardo” che io organizzo presso i locali, su richiesta. Qui si opera una lezione didattica di Arte Bardica al tavolo fra una portata e l’altra, per poi concludersi il “banchetto” con una vera e propria disfida fra i partecipanti, a colpi di versi epici.
Dai tuoi testi si nota una grande venerazione per i draghi, così come per le creature elfiche.
Verissimo. Per tale motivo la critica mi ha etichettato come “Cantore di Draghi”. Ho un amore viscerale per queste figure. Subisco la loro fascinazione, non posso resistere, è più forte di me. Un retaggio antico che tramite il verso riesce a rivivere con piena forza espressiva. Il verso è lo sguardo del drago, si contrae e si dilata ritmicamente alla stessa maniera, è irrequieto, squarcia il velo dell’illusione facendo incursione in una realtà che diviene in virtù della sua forza, inedita, straniata. Nel saggio, infatti, i Valimar, i Domatori di Draghi, applicano i principi del Valacun, l’arte della doma, al verso, ne temperano l’inquietudine al pari di un Drago.
Pensi di lavorare ancora su saghe ispirate ai Miti del Nord.
Non penso. Vorrei dedicarmi un po’ all’Immaginario, a qualcosa da me creato. Per adesso i miti del Nord possono aspettare. Peraltro, è uscito da poco, quasi parallelamente a Bjorn, un mio manuale di Gioco di Ruolo da tavolo, con la Panzer8 Games, intitolato “Shieldmaiden – Il Risveglio degli Eroi”, in cui il giocatore veste i panni di una Valchiria: il suo obiettivo è quello di condurre sul campo di guerra un Eroe caduto verso le porte del “Valhalla”.
Hai al momento altre opere in cantiere?
In cantiere ho le pubblicazioni della collana “Saga”. È una collana da me interamente curata, in forma digitale, fuori da ogni logica editoriale di mercato, che ha come tema “L’Epica e l’Immaginario”. Sono pubblicazioni molto particolari, in cui la finzione letteraria si fonde con la saggistica. Per adesso sono impegnato nella stesura di “Cantarune” in cui espongo l’esistenza dell’Epica degli Elfi e dei Nani, i loro maggiori poemi, i loro generi e le loro tecniche di composizione, trattate con profondo rigore. Si leggono quasi come opere di narrativa.
In linea generale ci sono dei libri che hanno contribuito alla tua formazione come autore?
In generale tutti i testi di poesia greca antica, più di quella latina, soprattutto le Olimpiche, le Istmiche e le Pitiche di Pindaro; poi, i testi di Epica, i libri di Tolkien, soprattutto i poemi, e molta letteratura inglese dell’Ottocento.
Grazie mille di essere stato con noi. Spero che tu ti sia divertito e abbia avuto modo di esprimerti. Prima di lasciarti ti chiedo un ultimo messaggio da lasciare ai nostri lettori.
Grazie mille a voi per questa esperienza bellissima e un messaggio chiaro e forte:
Seguite il vostro istinto nella scrittura. Scrivete prima di tutto per voi stessi, senza guardare alla pubblicazione. Siate fedeli alla vostra passione.
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