Nel titolo di questa rubrica si trovano “fuse” (termine non casuale visto l’argomento) due delle mie principali passioni: alchimia e scrittura. Diciamolo subito: non saranno articoli di o sull’alchimia, né che la si voglia intendere come antenata della chimica (anche perché sotto questo aspetto non l’ho mai praticata o studiata) né per quella che è la sua accezione a me più famigliare, ovvero quella di un percorso spirituale e filosofico. No, qui parleremo di alchimie della parola, tenteremo di avvicinare un laboratorio entro le cui ampolle scorrano idee, tenteremo di mescolarle o distillarle per ricavarne consigli utili alla meravigliosa arte della narrazione.

Chi sono io per dare consigli di scrittura?

sebastiano brocchi

Sebastiano Brocchi

L’aver pubblicato pressappoco una ventina di libri (tra opere di saggistica e romanzi), la sceneggiatura di un videogioco e decine di articoli su riviste e siti web internazionali, non mi conferisce certo alcuna autorità o la supponenza di poter insegnare qualcosa a qualcuno; tuttavia ritengo che la mia attività certifichi quantomeno il mio sincero amore per la missione o “vocazione” del narrare, nel senso di esprimere dei vissuti attraverso la scrittura, raccontare delle storie, esporre delle idee, condividere visioni.

A voi quindi la libertà di trarre o meno dalle mie parole materiale utile alla vostra attività di narratori se non, molto più semplicemente, un piacevole scambio di vedute con qualcuno che abbia fatto della scrittura creativa il proprio strumento di lavoro favorito (a fianco del disegno).

Dopo questa necessaria introduzione passerei quindi a una prima riflessione che vorrei condividere con voi. Il narratore, dal mio punto di vista, dovrebbe essere simile a un vaso alchemico, un alambicco o comunque vogliate chiamarlo. In altre parole, un contenitore trasparente entro il quale si formerà lopera. Il paragone è quanto mai rilevante e ottenere una simile condizione tutt’altro che scontato. La nostra mente non è trasparente, anzi: essa è un filtro pressappoco onnipresente che proietta continuamente i propri colori e motivi sulla pagina bianca, e ben presto quella pagina non sarà più bianca bensì intrisa di noi. Tuttavia, non dovremmo esserci noi sulla pagina. Quantomeno, non dovremmo lasciare che quel nostro esserci in filigrana condizioni la leggibilità di ciò che andremo a narrare.

Alchemy: three furnaces with glass vessels on two of them.

See page for author, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons

Togliere l’ego dall’equazione non è soltanto un’operazione attinente all’ambito della spiritualità, una purificazione figlia di dottrine mistiche, è qualcosa che anche il narratore può imparare progressivamente a fare per rendere sempre più limpido il vetro del suo alambicco, riuscire dunque a scorgere con sempre maggior chiarezza ciò che si trova all’interno e fare in modo che l’interno diventi l’esterno: le parole che si trovavano dentro diventino parole espresse, affidate ad altre menti e altre anime che le raccoglieranno per farne il proprio nutrimento. Sì, è anche e soprattutto di parole che si nutre una mente, sono esse a scorrere nel suo sistema circolatorio come sangue o linfa vivificante.

Vi è quindi uno scambio molto più che intellettuale nell’atto del narrare: affidare una storia significa affidare parte di quel flusso vivificante, compiere una trasfusione di sogni, memorie, speranze, ammonimenti e, in fin dei conti, sentimenti. C’è un simbolo molto bello nella tradizione alchemica che ben si presta anche a descrivere il ruolo del narratore: il pellicano.

Il pellicano apre una ferita con il becco sul proprio petto per raggiungere il cuore e offrire il proprio sangue ai pulcini. Naturalmente da uno scrittore ci si aspetta qualcosa di meno cruento, ma sì, in una certa misura narrare è proprio aprire una ferita per raggiungere il proprio cuore, e condividere con gli altri gocce di quelle emozioni. Se ciò non avviene avremo forse raccontato comunque delle storie, ma non avremo compiuto delle alchimie narrative.

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