Poetico, intimo, ironico e tagliente. Segnali di fumo fece il suo debutto al Sundance Film Festival nel 1998. Ancor prima di essere distribuito nelle sale cinematografiche, la pellicola vinse due premi estremamente significativi. Due riconoscimenti, quali il Premio alla regia e il Premio del pubblico, che ne annunciarono l’imminente successo.

Il primo film in grado di rispondere ad una questione pressate: la rappresentazione dei nativi americani nell’industria cinematografica statunitense. Segnali di fumo è difatti il primo film scritto, diretto, co-prodotto e interpretato da nativi americani. Un film che finalmente ne offre al mondo una visione non distorta dalla cinepresa dell’uomo bianco.

Senza troppi spoiler, proveremo a raccontarvi del perché secondo noi questo film rimarrà per molto tempo un capolavoro indiscusso.

Trama

Thomas e Victor sono due nativi americani che vivono nella riserva di Coeur d’Alène, Idaho. Un filo comune unisce il destino di questi due ragazzi. Un tragico evento avvenuto, simbolicamente, il 4 luglio del 1976. Durante i festeggiamenti per il giorno dell’Indipendenza, scoppia un incendio a casa di Thomas. I suoi genitori moriranno, ma lui, allora neonato, sopravvivrà grazie ad Arnold Joseph, il padre di Victor. Il collante di questa strana relazione sarà proprio lui, un uomo di cui i due ragazzi hanno un’opinione molto differente. Thomas ne è a dir poco ossessionato e non riesce a smettere di parlarne. Victor prova per il padre sentimenti molto contrastanti dal momento che da piccolo lo ha abbandonato. A distanza di anni, sarà ancora Arnold a ricongiungere i due ragazzi. Insieme partiranno per Phoenix per poter recuperare le ceneri dell’uomo defunto.

La storia si ispira ad un racconto breve appartenente alla raccolta intitolata Lone Ranger fa a pugni in paradiso e scritta da Sherman Alexie.

“Io e Victor, noi siamo nati dalle fiamme e dalla cenere”

L’elemento del fuoco ricopre in questo racconto un’importanza difficile da tralasciare. Il titolo stesso del film, Segnali di fumo, non è un lieve accenno culturale. Fuoco, fumo, fiamme, cenere. La storia è ricca di eventi e figure retoriche che prendono spunto da questo elemento indomabile della natura. Il fuoco, ribelle ed incontrollabile, può distruggere, ma anche creare. In quel fatidico incendio, i genitori di Thomas sono morti, ma, da quello stesso incendio, nasceranno Thomas e Victor. Difatti, tutta l’evoluzione dei personaggi è segnata da quell’evento, che ne influenza i destini. Lo stesso Arnold, che in quell’incendio sembra perdere una parte di se stesso, rinascerà dalle sue stesse ceneri, quando il figlio deciderà di prendersene cura.

“Lo sai cosa pensano gli indiani quando si tratta di firmare un documento”

Che cosa vuol dire essere indiano all’alba degli anni 2000?
Thomas e Victor sono due ragazzi molto diversi tra loro che, di conseguenza, vivono la propria identità culturale in maniera altrettanto differente. Il primo è ossessionato dalla tradizione orale del suo popolo. Talmente tanto che, a volte, sembra più intento ad interpretare il ruolo di un nativo americano, piuttosto che esserne uno, in carne ed ossa. Victor, invece, vive la sua “natività” ispirandosi ai grandi guerrieri delle praterie. È evidente che Thomas rappresenta un naturale crogiolo di culture: quella appresa nella riserva, dalla nonna, con cui vive, e quella trasmessa dalla cultura popolare americana. “Quante volte hai visto Balla coi lupi?” gli chiede Victor per canzonarlo. Eppure, la stessa idea che un indiano moderno debba ispirarsi ad un guerriero del 1500 viene rappresentata come una teoria altrettanto buffa ed inapplicabile.

In linea generale, il film ci presenta il ritratto di un popolo molto diverso da quello che la passata cinematografia aveva da offrire, sia nel bene che nel male. I nativi americani non sono né il popolo selvaggio dei western, né quello saggio e affascinante delle leggende popolari. Segnali di fumo vuole raccontarci in maniera spassionata la vita nella riserva. E lo fa con un’ironia tale da rendere tutto molto piacevole e coinvolgente. I problemi presenti a Cour d’Alène ci vengono presentati uno dopo l’altro, senza timore, sin dalla prima scena. KREZ radio, il canale radio locale in onda dal 1972, trasmette la stessa litania anno dopo anno. È chiaro che la vita nella riserva è alquanto monotona e noiosa.

Percepiamo così il ritratto di una comunità consapevole dei propri limiti, capace di rimproverare sia se stessa, sia l’oppressione dell’uomo bianco in egual misura. È così che anche Geronimo, uno dei capi Apache più famosi della storia, viene bacchettato e descritto come un semplice uomo “snello, cattivo e sanguinario”. Caratteristiche che ne farebbero un ottimo giocatore di basket.

“È un buon giorno per essere indigeni”

In linea con questo spirito autoironico, frasi epiche come “un buon giorno per morire” vengono profanate durante tutto il film. Probabilmente anche per una giusta causa se consideriamo che non esistono fonti certe circa la celebre frase che talvolta viene attribuita ad Antilope Che Corre, a volte a Cane Basso. Il film decide quindi di giocare con questo concetto, riconoscendo che probabilmente questa frase è più un retaggio di cultura popolare che un concetto storicamente attendibile e associabile ai nativi americani. Per cui se a volte è un buon giorno per morire, a volte potrebbe anche essere un buon giorno per fare colazione, senza offendere nessuno. Alla ricerca della schiettezza più totale, Segnali di fumo tenta di eliminare quell’aura di mito che tende ad accompagnare i nativi americani. Gli indigeni non sono un mito, ma sono un popolo vivo e vegeto e questo film sfrutta ogni possibilità per farcelo capire.

Perdita e perdono

Un altro tema importante del film è la perdita. Sia Thomas che Victor devono affrontare l’assenza di qualcosa. Thomas ha perso i propri genitori quando era appena un neonato. Victor perderà il padre che per motivi ignoti deciderà di abbandonare la propria famiglia. Uno vive la perdita di un rapporto che non ha mai avuto la possibilità di vivere, l’altro di una relazione che in effetti non si è mai dimostrata all’altezza, ma la cui assenza sembra fare anche più male. In entrambi i casi, i ragazzi sono alla ricerca della capacità essenziale per riuscire a perdonare qualcuno. Tutto il film sembra confluire verso la consapevolezza che senza perdono non può esserci spazio per qualcosa di nuovo.

“Dimmi, cosa è successo? Dimmi, cosa accadrà?”

Ma se questo film ci insegna qualcosa sul perdono è sicuramente il fatto che spesso perdonare se stessi e convivere con il senso di colpa è molto più complesso ed insidioso del concedere il perdono.
Sin dall’inizio del film è abbastanza evidente che Arnold Joseph nasconde qualcosa. Una colpa che lo tormenta così tanto da spingerlo ad abbandonare le persone che più ama. Addirittura morirà senza riuscire a perdonare se stesso dopo una vita di privazione. Ma per qualche motivo che non voglio rivelarvi, anche un finale così prevedibile nasconde una sfumatura in grado di sorprendere lo spettatore.

Il film si chiude con un monologo ispirato alla poesia Perdonare i nostri padri scritta da Dick Lourie. Una riconferma che il perdono è un atto vitale per andare avanti.

Conclusioni

Abbiamo aperto questo articolo dicendo che Segnali di Fumo è un film sui nativi americani fatto dai nativi americani. Per anni la critica ha utilizzato questa espressione per pubblicizzare questo film e sicuramente non è un elemento da sottovalutare, noi stessi lo riconosciamo. Tuttavia non si tratta solo di un film sugli indiani. I temi trattati sono tali da rendere questa storia universale e contemporanea, nonostante il trascorrere del tempo. Questa pellicola parla di relazioni familiari complesse, del peso che cultura e tradizione possono avere sull’identità personale, di colpe e percorsi di espiazione. Segnali di Fumo non è solo un film sugli indiani, è un film sulla vita. Non a caso Martin Scorsese ha recentemente aggiunto Segnali di Fumo al curriculum del suo corso di cinema e se lo dice lui c’è da fidarsi!

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